Il Napoli batte il Cagliari al 95’ grazie a un rigore di Insigne, blinda con tre giornate d’anticipo il secondo posto, festeggia la quarta qualificazione consecutiva alla Champions League. Davanti alla miseria di 16mila spettatori: quella che poteva essere la conclusione allegra di una stagione sotto le aspettative, diventa l’ennesimo momento di tensione, scontro, contestazione più o meno silenziosa. Ormai è guerra aperta fra Aurelio De Laurentiis e i suoi tifosi. C’è un antefatto al triste spettacolo del San Paolo. È quanto successo un weekend fa a Frosinone, e poi durante la settimana. Domenica scorsa i tifosi azzurri presenti allo Stirpe avevano fischiato la squadra: l’obiettivo della protesta era ovviamente la gestione societaria, ma nel mirino era finito persino il povero Callejon, giocatore indiscutibile per impegno e abnegazione, a cui era stata pure ributtata indietro la maglietta lanciata in curva a fine match. Per tutta risposta, il presidente ha deciso in maniera “punitiva” di triplicare i biglietti per le curve per la gara casalinga contro il Cagliari. Risultato: stadio deserto per una delle ultime uscite di una stagione che a questo punto rischia di chiudersi ancora peggio di quanto sia effettivamente andata.
L’annata del Napoli non è stata entusiasmante. Sul Fatto quotidiano siamo stati tra i primi a scriverlo, quando ancora la squadra non era stata eliminata dall’Europa League. Ancelotti ha deluso e ha fatto ampiamente rimpiangere Sarri. Si può dire che una stagione di transizione tra un ciclo e l’altro sia stata gestita male, lasciando che si scavasse un divario troppo ampio dalla Juventus, perdendo occasioni in Europa senza nemmeno gettare davvero le basi per il futuro. Tutto vero. Ciò non toglie nulla però alla validità complessiva del progetto De Laurentiis, e rende semplicemente assurda la sua contestazione: essere insoddisfatti per questa stagione è legittimo, dimenticarsi tutto il resto molto meno.
A Napoli la tifoseria (non tutta invero, una parte) lo insulta, lo accusa di pensare ai suoi interessi e non fare nulla per vincere. Ma chi sono loro per pretendere coppe e scudetti? Napoli non è Milano, e nemmeno Roma. Non è una grande piazza del calcio italiano, storicamente non lo è mai stata. I tifosi vivono nel mito di Diego Armando Maradona, che però è durato più o meno un lustro. Prima e dopo ci sono stati tanti buoni piazzamenti ma nessuno scudetto, qualche Coppa Italia ma anche diversi scivoloni in Serie B, praticamente nulla da segnalare a livello europeo. De Laurentiis quando è arrivato ha raccolto una società fallita in Serie C e l’ha riportata stabilmente nell’elite del calcio italiano e addirittura europeo: quale altra squadra della Serie A può vantare dieci partecipazioni alle coppe europee negli ultimi dieci anni? Eppure il San Paolo è sempre mezzo vuoto, per media spettatori è dietro alla Lazio e persino alla Fiorentina (dove sì che i tifosi hanno motivo per essere delusi).
De Laurentiis non è certo perfetto. È un accentratore, dirige la squadra con una gestione vecchio stampo. Ha un carattere particolare, non si fa amare da media e tifosi. Ed è un imprenditore vero, non un mecenate del pallone: non butta soldi, non fa mai il passo più lungo della gamba, spende quanto ha in cassa e chiude sempre il bilancio in attivo. Ma oggi nel calcio moderno non si inventa nulla, comandano numeri e fatturati, su cui il Napoli è distante anni luce dalla Juventus. È impensabile sfidare i bianconeri sullo stesso piano, almeno nell’immediato: l’unica speranza è provare a crescere gradualmente, come fa De Laurentiis (in questo senso sarà decisivo il progetto stadio). E intanto tentare il colpaccio con la forza delle idee e dei progetti tecnici, come sta riuscendo quest’anno in Champions League al giovane Ajax e tutto sommato come era quasi riuscito al Napoli di Sarri lo scorso anno, almeno fino al famoso arbitraggio di Inter-Juventus e a quello scudetto perso in albergo a Firenze. A Napoli si sono dimenticati anche questo.
La guerra aperta non fa bene a nessuno, perché rischia di far partire sotto una cattiva stella anche la prossima stagione. Ci pensi De Laurentiis, prima di proseguire questo pericoloso braccio di ferro. Ma tutti dovrebbero riflettere su quale sarebbe il futuro in caso di rottura definitiva. Il presidente un piano B ce l’ha già (ed è un’altra delle accuse che gli viene mossa): si chiama Bari, altra piazza importante del Meridione, dove sta esportando il suo modello (i biancorossi hanno appena conquistato il ritorno fra i professionisti, dopo un anno fra i Dilettanti) e potrebbe fare calcio con meno pressioni e altrettante soddisfazioni, 50mila tifosi sempre allo stadio e nessuno a chiedergli scudetti o follie. Quanto al Napoli, invece, cosa ci sarebbe dopo Adl? Può arrivare uno sceicco, portare vagonate di milioni, campioni alla Messi e alla Ronaldo e allora addio ai fastidiosi pragmatismi di oggi. Ma tutto il resto, un altro imprenditore italiano (quale?), qualche sconosciuto fondo estero o un americano alla Pallotta sarebbe comunque un passo indietro. Il futuro senza Adl è un’incognita, il passato invece è storia. 15 anni fa di questi giorni, i tifosi napoletani assistevano a un tristissimo pareggio casalingo contro il Venezia di una squadra dimessa, che navigava nei bassifondi della Serie B e di lì a poco sarebbe proprio fallita. Forse dovrebbero ricordarselo più spesso.