Politica

Siri indagato, tutti litigano o parlano d’altro. E intanto la camorra colpisce

Matteo Salvini straparla e la camorra uccide. Potrebbe essere questa la sintesi di quanto accade nel nostro disgraziato Paese. L’inefficienza di un ministro demagogo, mentre la criminalità organizzata dilaga. Imperversa da giorni infatti il caso Siri, sottosegretario inquisito alla cui difesa Salvini dedica molte energie, mentre a Napoli la camorra spara a una bambina: non dovrebbe parlar meno e garantire più sicurezza il ministro dell’Interno?, comincia a chiedersi la gente.

La tensione è alta nel governo e siamo agli insulti: “Alla Lega chiediamo di tirare fuori le palle e far dimettere Armando Siri” dicono i 5Stelle. “A chi mi attacca dico tappatevi la bocca, è l’ultimo avviso”, replica Salvini. Parole dure. Ragioniamo, partendo dalla posizione dei protagonisti:

1. Il sottosegretario nega ogni accusa. Può anche ignorare Giuseppe Conte quando gli dice che non gode più della sua fiducia? Siri sta allungando un’agonia dall’esito inevitabile.

2. Il premier spiega la sua decisione: “i cittadini devono continuare a fidarsi della politica e delle istituzioni”; di chi ha tutelato l’interesse personale di un privato (e non l’interesse pubblico) non possono fidarsi. Semplice. Non c’entrano niente il garantismo e Cesare Beccaria sempre citato a sproposito.

3. La vicenda Siri si complica perché Salvini finge di non cogliere la distinzione tra “questione penale” e “questione etica”. E’ una mistificazione. Pensa che nessuno ricordi le sue richieste, in passato, di dimissioni di ministri? Che i suoi elettori non badino alle contraddizioni? Che non pagherà alcun prezzo per la difesa di un inquisito? Ancora: se vuol rompere coi 5Stelle, come qualcuno dice, è questo il terreno più giusto? Infine: Salvini non molla Siri per motivi indicibili? E’ l’aggrovigliarsi di queste domande a rendere la questione Siri “il” caso politico, il più scottante del governo.

4. Luigi Di Maio in questa partita difende la legalità e il governo del cambiamento. Poi, certo, i toni si accendono e a Salvini arriva anche una frase al veleno: “Io non solleverò nessuna crisi di governo. Ricordo che l’ultimo che ha sollevato una crisi su un indagato è Clemente Mastella”.

Questa, in sintesi, la situazione a poche settimane dalle Europee. Con un’aggravante, la posizione di molti quotidiani: Libero, Il Messaggero, Il Giornale. Insomma, il premier dà una lezione (anche di stile) ma Salvini e i giornaloni al seguito fingono di non capirla: spostano l’attenzione sul tema giudiziario e lasciano cadere il tema etico. Cambiano argomento. Si comportano come quell’alunno che interrogato sulla Critica della ragion pratica (il fondamento della morale) ripeteva l’Estetica: parlava d’altro. Ecco, Salvini e i giornaloni al seguito parlano d’altro. Li rimando a settembre con “debito formativo”, studino il “postulato della libertà”: Kant osserva che “la libertà è la ratio essendi della legge morale”, è molto utile oggi che (non solo nell’informazione) tanti non sanno più cosa sia, e la legge morale è sparita da un pezzo.

Viviamo nell’età del Partito Preso, dell’egoismo, della perdita di vista dell’interesse generale. E prevalgono ragionamenti inquietanti: perché Siri dovrebbe dimettersi? Perché Salvini non dovrebbe difenderlo? In fondo il sottosegretario ha “solo” tutelato gli interessi di Paolo Arata, amico di Vito Nicastri e di una catena di personalità “integerrime” che portano alla mafia. Povero Kant, il cielo stellato è sopra di noi ma “la legge morale in noi” fatica a trovare ascolto.

Ps. Il ministro dell’Interno straparla, ma i fatti dicono che difende un inquisito, che tra le forze dell’ordine cresce il malumore (“Pochi mezzi e troppi annunci”), che a Napoli lo Stato è assente mentre la camorra colpisce Noemi, 4 anni. E’ venuto il momento di un risveglio dei cittadini. Il figlio di un boss ha urlato in piazza: “Noi figli di camorristi dobbiamo dissociarci dalla camorra, la vita è cultura e lavoro. Amo mio padre ma ho deciso di rinnegarlo”.

E’ un buon segnale: la legge morale che emerge potente da queste parole – e Napoli che marcia indignata – siano motivo e fonte di rinascita di una società civile da troppo tempo assente.