“Non mollare, ti aspetto per continuare a crescere insieme”. E’ stata la piccola Raffaella a scrivere il cartello, incaricando la mamma di affiggerlo al cancello d’ingresso dell’ospedale pediatrico Santobono di Napoli. Qui, da venerdì pomeriggio, è ricoverata Noemi, appena 4 anni.

E’ in rianimazione, intubata e in coma farmacologico. Un proiettile da guerra con incamiciatura d’acciaio le ha fratturato la scapola sinistra, poi ha attraversato la parte bassa del polmone di destra, è sgusciato dietro al cuore e ha sfiorato i grossi vasi sanguigni, per impattare e scaricare parte della sua forza cinetica contro la sesta vertebra toracica, andata distrutta in tanti frammenti di osso. Un urto che ha rallentato e poi fermato la potenza del proiettile dopo aver trapassato il polmone sinistro. Le immagini della diagnostica sono drammatiche, tragiche e dovrebbero essere mostrate in particolare a coloro che, in queste ore, sanno e non parlano.

C’è chi aiuta, collabora, mantiene il silenzio e copre l’uomo vestito di nero che ha sparato. Codardia, connivenza, convenienza. Sono partenopei che, ripetendosi per una intera vita di merda è cos’ e nient, sono diventati loro cos’ e nient. Il video catturato dalle telecamere in piazza Nazionale nei pressi del bar Elite svela l’atrocità, la banalità del male, la fine di qualsiasi sentimento umano.

Il killer è impacciato, si muove male, impugna l’arma e spara senza padronanza. Noemi è a terra, alza la mano e chiede aiuto. L’energumeno la scavalca una prima volta per raggiungere e scaricare il caricatore addosso a Salvatore Nurcaro, 32 anni, obiettivo del raid armato. L’uomo nello scappare sfiora nuovamente il corpo della piccola che continua a tenere il braccio alzato. Sarà un dipendente del bar a soccorrerla, a tenerle la mano, accarezzarla e riscaldarla. La scena è immortalata in fermo immagine. Fa accapponare la pelle, mette rabbia, tanta rabbia. Cambia davvero poco se l’attentatore non è un killer di un clan: resta lo sconcerto, la drammaticità e l’abbandono di una città in perenne guerra.

C’è stata una reazione, una manifestazione per gridare “no” alla camorra. Addirittura Antonio Piccirillo, figlio di un boss, è sbucato dalla folla e impugnando il megafono ha pronunciato parole nette, forti, significative, come anni addietro fece Nunzio Giuliano, dissociatosi dalla sua famiglia-clan del rione Forcella.

L’oca è alla casella di partenza. Occorre che ce lo dicano: Napoli fa parte dell’Italia? Napoli è un problema per questo Paese? Napoli è ancora una metropoli europea? La vibrante e grave denuncia di Federico Cafiero de Raho, procuratore nazionale antimafia e terrorismo, avrebbe fatto saltare tutti dalla poltrona. Invece, le sue parole sembra siano state catalogate come lo sfogo di un magistrato esperto, bravo e stimato, ma coinvolto emotivamente: è napoletano. Non cito il ministro dell’Interno Matteo Salvini, perché non è un interlocutore nella lotta alle mafie, in pratica non è mestiere suo: più parla e più mostra incompetenza.

Occorre acciuffare chi venerdì pomeriggio non solo poteva commettere una strage, ma ha calpestato per due volte il corpo di una bimba ferita e distesa a terra. Tocca ai napoletani metterci la faccia: chi sa parli e aiuti lo Stato a fare fino in fondo il proprio dovere.

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