A convincere la Cina, secondo fonti riferite dalle agenzie, è stata la performance oltre ogni previsione del Pil del primo trimestre 2019, diffuso il 17 aprile, risultato in rialzo del 6,4% annuo. Intanto entrano in vigore i nuovi dazi annunciati dalla Casa Bianca
Quello che Donald Trump aveva annunciato qualche giorno fa ora entra in vigore: gli Stati Uniti hanno notificato l’aumento dei dazi dal 10% al 25% nei confronti di 200 miliardi di dollari prodotti importati dalla Cina. Tutto ufficiale e pubblicato sul Federal Register, l’omologo della Gazzetta Ufficiale. Ma nelle stesse ore da Pechino arriva un’altra decisione: marcia indietro su quasi tutti i punti dell’accordo commerciale con Washington. Una notizia data in esclusiva da Reuters e che riguarda modifiche sistematiche all’intesa di quasi 150 pagine, che fanno saltare mesi di negoziati tra le due maggiori economie del mondo. “La regione della retromarcia della Cina e del suo tentativo di rinegoziare l’accordo commerciale è la speranza di essere in grado di rinegoziarlo con Joe Biden o con uno dei deboli democratici, e quindi continuare a rubare agli Stati Uniti per i prossimi anni – ha twittato Trump – Questo però non accadrà! La Cina ci ha informato che il vice premier sta venendo negli Usa per fare un accordo. Vedremo”.
The reason for the China pullback & attempted renegotiation of the Trade Deal is the sincere HOPE that they will be able to “negotiate” with Joe Biden or one of the very weak Democrats, and thereby continue to ripoff the United States (($500 Billion a year)) for years to come….
— Donald J. Trump (@realDonaldTrump) May 8, 2019
L’intesa – I negoziati sul commercio tra Usa e Cina erano giunti “molto vicini al traguardo”: uno degli ultimi e più seri scogli era il meccanismo di verifica dell’attuazione e rispetto degli accordi. Il rappresentante per il Commercio americano Robert Lighthizer aveva premuto per un “meccanismo molto simile a quello delle sanzioni“, su un modello pressoché automatico di dazi a fronte dell’inadempimento “contrattuale”. La scorsa settimana, durante il decimo round negoziale di Pechino, Liu He (il vicepremier capo negoziatore cinese) avrebbe invece affermato di avere fiducia nella Cina sul rispetto del processo di implementazione con interventi amministrativi e regolamentari: tutte rassicurazioni poco convincenti alla luce delle esperienze passate.
Quello che avrebbe poi spinto la Cina alla “erosione dell’impegno” (definizione di Lighthizer) e a un “grande cambio di direzione” (secondo il segretario al Tesoro Steven Mnuchin), ha spiegato un’altra fonte, sarebbe stata la performance oltre ogni previsione del Pil del primo trimestre 2019, diffuso il 17 aprile, risultato in rialzo del 6,4% annuo, meglio del 6,3% atteso dagli analisti e in linea col 6,4% del periodo ottobre-dicembre 2018, frutto di una strategia più articolata.
Un altro segnale sulla fiducia di Pechino nella gestione delle tensioni con Washington è giunto oggi dai dati sull‘interscambio commerciale di aprile: il surplus verso gli Usa, primo mercato dell’export cinese, è stato di 21,01 miliardi di dollari, in rialzo sui 20,50 miliardi di marzo. L’import è sceso del 26%, a 10,3 miliardi, mentre l’export verso gli Usa è calato del 13%, a 31,4 miliardi. Nei primi quattro mesi dell’anno, l’attivo commerciale si è attestato a 83,66 miliardi, risultato di un export in frenata del 9,7% e di un import diminuito invece del 30,4%, scontando proprio le politiche ad ampio raggio di Pechino sulla ricerca di altre fonti di approvvigionamento, parte di una strategia nota come “China plus one”.