di Alessandra Ungaro*

La crisi valoriale dei tempi attuali permea molteplici settori e aspetti del quotidiano vivere civile. Scandali epocali ve ne sono stati e anche significativi, eppure l’osservatore di oggi non può che guardare perplesso il contesto sociale animato da continui e inesorabili colpi di scena. Gli ultimi venti anni, tuttavia, paiono caratterizzati da un’anestesia morale senza precedenti, grazie anche ad alcune leggi che hanno favorito comportamenti scorretti non sanzionati. Oggi che la crisi conclamata della crescita demografica, industriale e sociale talvolta ruba la scena persino ai contesti sempre più transnazionali delle mafie, il lungo sonno del falso in bilancio, tra gli altri, sembra quasi offrire una nemesi storica lasciando dietro di sé moltissime aziende in fallimento, in liquidazione o in grande difficoltà.

Da una parte si assiste, dunque, alle performance di un’imprenditoria talvolta autoreferenziale, vessata nel tempo da molteplici adempimenti sempre più costosi e complessi e dall’altra tuttologi di professione, in ogni campo e non sempre al passo con la specializzazione e la formazione richieste dal mercato. Diversi attori, tuttavia, hanno amministrato e vigilato su aziende che oggi sono scomparse, oppure hanno osservato con inerzia le dinamiche che avrebbero prodotto nel tempo pregiudizio ai livelli occupazionali, all’ambiente, ai risparmiatori, ai consumatori, nella consapevolezza che gli azionisti di riferimento li avrebbero premiati probabilmente solo in virtù della creazione di un valore che garantisse l’attesa remunerazione del capitale investito sotto forma di dividendi. Tale meccanismo ha necessitato sovente di cordate di manager, amministratori, advisor e organi di vigilanza, in generale concordi sulla bontà degli atti gestori posti in essere.

Non tutti gli operatori degli scenari predetti hanno avuto il tempo, l’opportunità e la capacità di strutturare le proprie reti professionali e delegare attività specifiche e pochi, verosimilmente, hanno fatto davvero la differenza in termini di rispetto delle regole deontologiche e reale valore aggiunto della prestazione adempiuta, anche laddove vi sia stato il rispetto delle norme a presidio della legalità, violando altresì le regole di colleganza, concorrenza e competenza richieste.

La deontologia dunque è rimasta custodita nei documenti emanati dagli organismi di categoria, talvolta argomento di formazione presso gli Ordini territoriali, spesso seconda rispetto alle opportunità di business e di consolidamento di rendite di posizione, alimentate prevalentemente da relazioni personali. Cionondimeno le regole deontologiche rappresentano una specificità delle professioni per le quali la legge richiede un percorso di studi specifico e l’iscrizione in albi professionali, sotto la vigilanza del Ministero di riferimento e il cui rispetto garantisce decoro e dignità presso il pubblico. Salvaguardare la deontologia delle professioni da comportamenti che ledono tali principi è un dovere di tutte le istituzioni, politiche e di categoria, consapevoli che il mancato rispetto delle regole inquina il mondo del lavoro e scoraggia i giovani dall’intraprendere con entusiasmo ed energia innovativa, percorsi professionali idonei a perseguire la salvaguardia dell’interesse pubblico nella tutela di quello privato.

* Commercialista e Revisore Legale, con specifica esperienza aziendale nel Controllo di Gestione, valutazione dei Rischi e modelli di Compliance 231/2001. Consulente tecnico del Tribunale di Milano e della Procura della Repubblica. La passione per l’etica e le best practice mi ha permesso di coniugare competenze tecniche e aspirazioni personali, in un percorso sempre nuovo e ricco di stimolanti difficoltà, nel quale con rinnovato entusiasmo cerco di affermare, condividere e testimoniare il mio contributo alla cultura della legalità.

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