Alla posizione di 11 membri del consiglio di amministrazione e di tre sindaci i pubblici ministeri dedicano due pagine in cui sostengono che a decidere tutto erano “i massimi vertici operativi” dell'istituto di credito, ovvero gli imputati del processo in corso. Ma chi sedeva nel cda poteva davvero non sapere? Spetta al gip accertare se vadano approfondite le indagini
Può un consiglio di amministrazione di una banca, al gran completo, non accorgersi dell’esistenza “di un vero e proprio fenomeno di operazioni di finanziamento correlato all’acquisto/sottoscrizione di azioni proprie, per un importo complessivo superiore al miliardo di euro e relativo ad oltre mille controparti”? Incredibile ma vero, è accaduto alla Banca Popolare di Vicenza. Può il collegio sindacale di un istituto di credito non essersi accorto che era in atto un sistema di “operazioni baciate”, che nel biennio 2013-2014 “registrava la sua massima espansione anche per le necessità derivanti dal collocamento delle azioni di nuova emissione in occasione delle operazioni di aumento di capitale per un importo di oltre 1 mld di euro”? Altrettanto incredibile, ma anche questo è accaduto a PopVicenza. La banca ha viaggiato verso l’abisso senza che buona parte di chi stava nella stanza dei bottoni o avrebbe dovuto controllare la regolarità di bilanci e operazioni finanziarie, sospettasse cosa stava per accadere.
Non tutti naturalmente, perché a processo, oltre ai direttori e vicedirettori generali, ci sono Giovanni Zonin, l’imprenditore padre-padrone della banca, e Giuseppe Zigliotto, che faceva parte del Cda. Ma per tutti gli altri componenti i pm Gianni Pipeschi e Luigi Salvadori hanno chiesto l’archiviazione dai reati di aggiotaggio e falso in prospetto. La motivazione (“non sapevano”) disegna tante belle statuine che sedevano sulle poltrone, firmando – ignare – quei mille dossier di finanziamento senza sapere che costituivano i mattoni di un castello di carta. Perché la banca stava comperando le azioni con soldi propri, ma ciò non risultava – come impone la legge – nei bilanci. Insomma i consiglieri scaldavano il posto, anche se si trattava di professionisti di prim’ordine, avvocati, docenti universitari, industriali, persone abituate quotidianamente a trattare affari finanziari. Non capirono perché il “capitale finanziato” fosse cresciuto a dismisura, passando dai 268 milioni di euro del giugno 2012, al miliardo e 31 milioni del marzo 2015, mentre la sua esistenza “era taciuta in modo sistematico in una pluralità di comunicazioni al pubblico e ai soci”.
Alla posizione di 11 membri del Cda e di tre sindaci i pm dedicano due pagine di motivazione, in cui sostengono che a decidere tutto erano “i massimi vertici operativi della Banca”, ovvero gli imputati del processo in corso. E il Cda? Dalle registrazioni delle sedute emerge che non si discusse mai di “operazioni baciate”. E non ci sono prove che ne avessero conosciuto l’esistenza da canali non ufficiali. Anzi, in una “riunione di direzione”, nel novembre 2014, i dirigenti avevano deciso “di omettere qualsiasi comunicazione al consiglio di amministrazione in ordine alle operazioni baciate e di dissimulare la reale finalità di tali finanziamenti che, per importo, richiedevano apposita delibera del c.d.a.”. Infatti i consiglieri si trovavano sul tavolo i dossier, con richieste di finanziamento dei clienti e acquisti di azioni (spesso contestuali) per valore quasi uguale. Ma per i pm ciò non era neppure un “segnale di allarme”, visto che l’esame della pratiche era “sommario e superficiale”, al punto che “i singoli amministratori” (esclusi Zonin e Zigliotto) non erano “in grado di interpretare cumulativamente ed in modo completo i dati portati allo loro attenzione in modo separato”.
Ma nel cda che agiva in modo “sommario e superficiale” c’era però qualcuno che aveva beneficiato di “baciate” o di “capitale finanziato”. Possibile che anche loro non sospettassero? Quattro casi emblematici. Giovanna Dossena, docente di scienze aziendali ed economiche all’università di Bergamo, nel 2009-10 (quattro anni prima di entrare in cda), attraverso Avm Gestioni aveva acquistato azioni per 947mila euro, utilizzando in parte affidamenti della banca. Ma secondo i pm non era consapevole del meccanismo delle “baciate”, al massimo poteva pensare che la relazione tra finanziamenti e possesso di azioni rientrasse nella politica commerciale di PopVicenza. E che dire di Franco Miranda, consigliere per conto dell’Associazione artigiani, che secondo le testimonianze di alcuni funzionari era a conoscenza delle “baciate”? I pm lo tacciano di ignoranza, ritenendo che “fosse sprovvisto di adeguata capacità tecnico amministrativa”, anzi, usando le parole di un consulente, dubitano sulla sua capacità di “comprendere il significato delle operazioni e le implicazioni che avevano per il cliente e la banca”. Eppure stava in cda.
Ben altro personaggio è Andrea Monorchio, ex ragioniere dello Stato, vicepresidente di PopVicenza dal 2011 al 2016 (la sua famiglia possedeva azioni per un milione di euro). Non uno sprovveduto, quindi. Era presidente di Micoperi, una spa che nel 2012 fu finanziata per 20 milioni di euro dalla banca e comperò azioni per 4 milioni. Nel 2015 arrivò un finanziamento di 16 milioni a Protan srl, dello stesso gruppo, “per azzerare le perdite debitorie della partecipata Micoperi ed acquistare i titoli detenuti dalla stessa”. Per i pm si trattò di “operazioni parzialmente baciate”, ma escludono, in base a testimonianze, “un ruolo di Monorchio nella fase di definizione ed attuazione degli accordi” e concludono che la conoscenza di un’operazione (in cui è comunque parte), “non dimostra la consapevolezza circa l’esistenza di un vero e proprio fenomeno”. Per finire, c’è Roberto Zuccato, ex presidente di Confindustria, per sette anni in cda, fino al 2016. Di lui parlano alcuni testimoni e per i pm ci sono “elementi concreti sul fatto che potesse essere stato a conoscenza di alcune operazioni ‘finanziate‘ a partire dalla metà del 2013 o dall’autunno 2014”. Ma anche in questo caso “non emergono elementi indicativi della conoscenza delle concrete e reali dimensioni del fenomeno”.
Adesso spetta al gip accertare se le archiviazioni sono fondate, o se vadano invece approfondite le indagini. Di certo il quadretto è quello di un cda che non verificava. Eppure, ricorda l’avvocato Renato Bertelle, che assiste centinaia di vittime del dissesto, “Consob ha sanzionato amministratori e sindaci a pagare 4,7 milioni di euro per la pratica delle ‘baciate‘ e per non aver vigilato. La decisione è stata confermata anche dalla corte d’Appello di Venezia”. Da una parte le autorità di Borsa addossano responsabilità agli amministratori, dall’altra i pm non trovano prove per chiederne il processo. “Ma questo – conclude amaramente l’avvocato vicentino – contrasta con la Cassazione secondo cui, in un processo per Banca Etruria, il ‘dovere di agire informati dei consiglieri non esecutivi, non è rimesso nella sua concreta operatività alle segnalazioni provenienti dagli amministratori delegati’. Hanno ‘l’obbligo di attivarsi ai fini della diretta ingerenza nella delega attraverso l’esercizio dei poteri, di spettanza del consiglio di amministrazione, di direttiva e di avocazione’”.