Ultimo giorno di lavoro per Giuseppe Pignatone. Il procuratore capo di Roma ha compiuto 70 anni e va in pensione. Tredici i magistrati che hanno presentato domanda al Csm per sostituirlo con tre nomi in pole position: il procuratore capo di Palermo, Francesco Lo Voi, quello di Firenze, Giuseppe Caiazzo, e il procuratore generale di Firenze, Marcello Viola. Il quarto incomodo potrebbe essere Michele Prestipino, attuale aggiunto anche lui tra i magistrati che ha presentato la sua candidatura a Palazzo dei Marescialli.
L’arresto di Provenzano – “Cosa farò da domani? E chi lo sa? Di sicuro avrò tanto tempo a disposizione per leggere, ma non si escludono sorprese”, commenta Pignatone nell’ultimo giorno di lavoro. La fine di una carriera lunga 45 anni, dedicata alla lotta alla mafia: da Cosa nostra a Mafia capitale. In mezzo la condanna dell’ex governatore della Sicilia, Totò Cuffaro, la svolta sul caso di Stefano Cucchi e la forte volontà di far luce sul sequestro e l’uccisione di Giulio Regeni in Egitto. Nato a Caltanissetta nel 1949, Pignatone entra in magistratura nel 1974: prima pretore nella sua città natale, poi sostituto procuratore a Palermo a partire dal 1977. Dove negli anni ’80 mette sotto inchiesta il sindaco Dc Vito Ciancimino, poi condannato per mafia a sette anni.
Braccio destro di Grasso – Tutt’altro che amato da Giovanni Falcone, perché vicino all’allora procuratore Pietro Giammanco, nemico del pool antimafia. Finito ai margini nel periodo in cui la procura è guidata da Gian Carlo Caselli, diventa il braccio destro di Piero Grasso. Sono gli anni in cui la procura è spaccata tra caselliani e grassiani. I giornali parlano di “giudici cannibali” e fine del pool antimafia. Pignatone guida le indagini su Cuffaro, l’ex governatore condannato definitivamente a 7 anni per favoreggiamento aggravato a Cosa nostra, culminati nel 2008 con l’arresto di Bernardo Provenzano, dopo 43 anni di latitanza. Successi che portano a Pignatone rispetto anche da magistrati che fanno parte dello schieramento opposto delle toghe, quello dei caselliani: anche chi non lo apprezza, infatti, gli riconosce una grande raffinatezza di pensiero.
Le inchieste sulla ‘Ndrangheta – Nel 2008, Pignatone arriva a Reggio Calabria: la ‘ndrangheta è già da anni una mafia già potentissima ma sottovalutata, di cui sui giornali si parla poco, e men che meno in tv. Il magistrato da Palermo si è portato dietro l’aggiunto Michele Prestipino e una squadra di investigatori fidati, prende atto della situazione e riorganizza le priorità, accendendo i fari sui clan e i boss più potenti. Con una grande attenzione, però, alle “proiezioni” della criminalità calabrese nel Nord Italia e all’estero. L’avventura in Calabria dura quattro anni: poi il Csm lo invia a Roma, a capo dell’ufficio giudiziario competente sul cuore del potere italiano, e bollato nei decenni passati come il “porto delle nebbie”.
A Roma sindaci sotto inchiesta – Nei sette anni di Pignatone alla guida della Procura della Capitale le inchieste toccano la politica senza distinguo, dal sindaco trovato al suo arrivo Gianni Alemanno al caso scontrini di Ignazio Marino, chiuso con l’assoluzione in Cassazione, fino alle nomine di Virginia Raggi. E poi l’inchieste sulla corruzione per costruire il nuovo stadio della Roma che ha portato in carcere il grillino Marcello De Vito. L’indagine più importante, però, è sicuramente quella su Mafia capitale di Massimo Carminati e Salvatore Buzzi. La sentenza di primo grado arriva dopo oltre due anni e segna una sconfitta per la procura, perché non viene riconosciuta l’accusa di associazione mafiosa. Un anno dopo però, in appello, viene invece confermato l’esistenza di un sodalizio mafioso a Roma: adesso l’impianto accusatorio attende la conferma definitiva in Cassazione. Sempre sotto la guida di Pignatone alla procura di piazzale Clodio arrivano alla sbarra gli storici clan di Roma e di Ostia, dai Fasciani e Spada ai Casamonica. Contesti in cui emergono chiaramente le caratteristiche tipiche mafiose, a partire proprio dal controllo del territorio e dall’uso della violenza.
Il caso Cucchi, Mafia capitale e Regeni – Parallelamente arriva la svolta nel caso Cucchi e sotto i colpi delle indagini portate avanti dal pm Giovanni Musarò, a distanza di 10 anni dalla morte del 31enne, cade il muro di silenzi e di presunti depistaggi: è di meno di un mese fa la richiesta di rinvio a giudizio per otto militari dell’Arma accusati a vario titolo di falso ideologico, omessa denuncia, favoreggiamento e calunnia. Particolare l’attenzione infine che ha riposto Pignatone sull’inchiesta ancora aperta in merito al sequestro e omicidio del ricercatore Giulio Regeni in Egitto: un caso seguito dal pm Sergio Colaiocco, che ha dimostrato di non voler affatto cedere di fronte alla delicatezza di una vicenda che chiamerebbe in causa direttamente i servizi segreti del Cairo. Tutti fascicoli che il suo successore troverà sulla scrivania. Anche se l’iter per la nomina del nuovo procuratore di Roma potrebbe essere lungo: al Csm, infatti, si profilo uno scontro all’ultimo voto tra i tre favoriti.