Fuori i dottori di ricerca. E, soprattutto, niente illegittimità costituzionale. I concorsi riservati della scuola sono salvi e con loro i circa 100-150mila posti in palio: i ricorsi presentati contro gli ultimi bandi rischiavano di mettere in ginocchio tutto il sistema studiato dal Ministero dell’istruzione per regolarizzare la situazione di decine di migliaia di precari, dagli abilitati ai famosi diplomati magistrali, fino ai non abilitati con 36 mesi di servizio (i prossimi della fila). Il pericolo pare scongiurato.
La Corte costituzionale si è pronunciata sulle questioni sollevate dal Consiglio di Stato sulla legittimità del reclutamento speciale dei docenti previsto dalla “Buona scuola”. Parliamo della cosiddetta “fase transitoria”, che era stata varata dal precedente governo. In attesa che entrasse in vigore il nuovo sistema di reclutamento (il cosiddetto Fit, che intanto è stato già cancellato dal nuovo governo gialloverde in favore del ritorno al vecchio concorsone aperto a tutti), era stata decisa una specie di “sanatoria”: un concorso riservato a tutti i docenti abilitati rimasti fuori dalle precedenti tornate di assunzioni, con prove non selettive; tutti le superano e tutti vengono assunti, in ordine di graduatoria. Proprio su questo aspetto, però, si erano focalizzate le attenzione dei ricorsi, su cui oggi si sono espressi i giudici.
Il ricorso era stato presentato da aspiranti docenti in possesso del dottorato di ricerca, titolo che secondo una storica recriminazione della categoria avrebbe dovuto essere equiparato all’abilitazione e quindi dare diritto all’insegnamento. La prima notizia riguarda proprio questo: per la Consulta la questione è infondata, il dottorato non è abilitante. “Abilitazione all’insegnamento e dottorato di ricerca – si legge nel comunicato della Consulta – costituiscono il risultato di percorsi diretti a sviluppare esperienze e professionalità diverse, in ambiti differenziati e non assimilabili: questa diversità giustifica il differente e più vantaggioso trattamento riservato, in via transitoria, ai titolari di abilitazione all’insegnamento”. Questa sentenza sembra mettere un punto definitivo alle rivendicazioni dei dottori di ricerca nella scuola.
Più in generale, però, il ricorso metteva in discussione un cardine fondamentale del sistema: la possibilità di “riservare” i concorsi a determinate categorie, che violerebbe il principio costituzionale per cui “tutti i cittadini possono accedere ai pubblici uffici in condizioni di eguaglianza”. Se fosse passata questa tesi, sarebbe stata a rischio non solo la “fase transitoria” per gli abilitati, già svolta e finita, ma pure la sanatoria per i diplomati magistrali (le maestre che hanno perso il posto dopo la sentenza sfavorevole del Consiglio di Stato) e i prossimi bandi promessi per i precari storici senza abilitazione, visto che il principio seguito dal Ministero è lo stesso (concorsi riservati e non selettivi). Tra abilitati (50mila domande), diplomati magistrali (42mila) e non abilitati (almeno 30mila), parliamo di circa 100-150mila insegnanti in attesa del posto fisso: sono tutti salvi. La Consulta, in realtà, non si è pronunciata nel merito, ha solo dichiarato l’inammissibilità essendo già caduta l’obiezione sui dottori di ricerca. Il problema potrebbe eventualmente ripresentarsi in futuro con nuovi ricorsi, ma per il momento comunque la questione non si pone. I concorsi riservati non sono incostituzionali.