Piergiorgio Peluso ha lasciato l'incarico di direttore finanziario: al suo posto Giovanni Ronca, anche lui ex banchiere Unicredit, nonché genero dell'ex ministro Elsa Fornero. Ora dovranno far quadrare i numeri in vista del progetto fortemente sostenuto dal governo gialloverde. Ma ci sono due giocatori ingombranti: la francese Vivendi e i sindacati che non intendono subire tagli al personale in nome di un'aggregazione
All’Enel tutto fila liscio come l’olio. Utili e ricavi aumentano (+11,3 e +10%) nel primo trimestre di quest’anno. E anche se il debito cresce a 45 miliardi (+10%), gli affari dell’energia vanno a gonfie vele. Sullo sfondo resta però il nodo del ruolo nelle telecomunicazioni del gruppo che, assieme a Cassa Depositi e Prestiti, controlla la società della fibra Open Fiber. Per l’Enel, in termini di business, l’azienda di tlc è una goccia nel mare. Tuttavia sotto il profilo politico rappresenta un dossier molto spinoso. Anche perché le grandi manovre di avvicinamento fra Telecom e Open Fiber sono in pieno divenire.
Non a caso l’ex monopolista ha affidato l’incarico di valutare pro e contro di una eventuale fusione della rete Telecom con Open Fiber all’ex banchiere Mediobanca e Unicredit, Piergiorgio Peluso. Così nei giorni scorsi il figlio dell’ex ministro Annamaria Cancellieri ha lasciato l’incarico di direttore finanziario Telecom, che è stato assegnato a Giovanni Ronca, anche lui ex banchiere Unicredit, nonché genero dell’ex ministro Elsa Fornero. Una staffetta “ministeriale” tra due ex banchieri che dovranno far quadrare i numeri in vista della fusione fra la rete Telecom e quella Open Fiber secondo un progetto fortemente sostenuto dal governo gialloverde.
La partita in cui l’Enel avrà un ruolo centrale accanto a Cdp è appena iniziata. Ma ci sono due giocatori ingombranti: da un lato la francese Vivendi, dall’altro i sindacati che non intendono subire tagli al personale in nome di un’aggregazione per lo sviluppo della banda ultralarga, finanziata in buona parte con soldi pubblici. Non è un mistero infatti che se la rete di Telecom e Open Fiber confluissero a nozze, ci sarebbero inevitabilmente delle “duplicazioni” che, secondo alcune stime sindacali, potrebbero determinare fino a 10mila esuberi. Per non parlare del fatto che le nozze comporterebbero una concentrazione di mercato su cui dovrebbero esprimersi sia l’Antitrust che Bruxelles. Senza dimenticare che Open Fiber ha vinto le tre gare pubbliche indette da Infratel per la realizzazione della rete a banda ultralarga nelle aree a fallimento di mercato.
Ma al momento il tema più rilevante è senza dubbio il valore delle due infrastrutture da integrare. Secondo Mediobanca, advisor dell’Enel, Open Fiber varrebbe circa 8 miliardi. Ma per Intermonte ed Equita la cifra è eccessiva: il network varrebbe meno della metà visto che la rete è ancora in via di sviluppo. Quanto all’ex monopolista da tempo si parla di una infrastruttura cui alcuni operatori attribuiscono valori compresi fra i 7 e i 14 miliardi. Senza considerare la quota dei debiti di Telecom (in totale circa 35 miliardi) che dovrebbero essere spostati sulla futura società della banda ultralarga.
I problemi per l’integrazione Open Fiber-rete Telecom non si fermano qui. Accanto a questioni tecnologiche e di valutazioni contabili, c’è anche il problema degli equilibri azionari. In attesa delle prossime mosse del management, il socio francese di Telecom, Vivendi, si è preso una pausa di riflessione. Il gruppo francese, che ha il 23,9% del capitale dell’ex monopolista, vorrebbe poter finalmente trarre beneficio dall’investimento in Telecom. Magari mettendo le mani sugli asset brasiliani che appaiono meno interessanti rispetto al passato. Tim Brazil ha infatti appena chiuso il primo trimestre con una brusca frenata dell’utile (-10% a 49,46 milioni) per via di “una fragile ripresa economica e da una più intensa competizione” come ha precisato Telecom che è solo agli inizi di una grande riorganizzazione.