Cultura

Andrea Bianconi porta la sua arte a San Vittore e una detenuta racconta: “Mia madre si tolse la vita in cella davanti ai miei occhi”

di Sara Cariglia
Andrea Bianconi porta la sua arte a San Vittore e una detenuta racconta: “Mia madre si tolse la vita in cella davanti ai miei occhi”

Cinquanta disegni che punteggiano le pareti colorate del lungo viatico che precede la rotonda più sconosciuta di Milano, una gabbia sventrata come fosse la corolla di un fiore e altre quindici sospese nello spazio del Primo raggio, è quanto di più metaforico l’arte viva di Andrea Bianconi abbia congegnato oltre l’isola del carcere di San Vittore. Ovvero sotto quell’antica volta affrescata da cui si dipartono i sei raggi del penitenziario milanese e dove la domenica si celebra la messa più blindata della città.

L’ambizione? Offrire ai pochi intimi, tra cui cinquanta detenuti, un momento di bellezza, un dettato di libertà: “Le gabbie sono un riflesso della condizione carceraria. Bianconi ha voluto ribaltarne il segno dando loro un connotato liberatorio. Sono aperte perché sono le gabbie dei nostri desideri e qual è la più grande aspirazione per un recluso se non quella di cambiare direzione?” ha puntellato Giuseppe Frangi, curatore della performance Come costruire una direzione, messa a punto da Casa Testori, giunta alla sua seconda edizione.

Bianconi è un vero corsaro, un eroe puro e scapestrato che con i suoi bizzarri tormentoni è capace d’incantare” ha detto Frangi alludendo alla grande “festa” che l’artista ha inscenato al centro del Panopticon insieme a dieci attrici detenute della sezione femminile. Celebrazione che al grido ossessivo di “Fantastic Planet” è culminata in un tripudio d’energia di libertà. Una magia potenziata da incalzanti motivi a inflessione ritmata ripetuti come mantra anche dalla fondatrice della compagnia teatrale Centro europeo teatro e carcere, Donatella Massimilla, Ambrogina d’Oro 2019: “Solo l’arte dal vivo sa cogliere l’attimo fuggente, l’hic et nunc, il qui e ora, quel momento magico in cui la vita diventa opera d’arte. Partecipare ci ha regalato emozioni d’oro”.

Emozioni che Elena, trentanove anni, in questo giorno speciale ha deciso di abbracciare: “Ho capito quanto ci voglia poco per fare un angelo. Ognuno di noi ne ha uno ma spesso lo lasciamo morire come le ali della speranza, della forza e della vita”. O come le ali della cultura che a detta di Frangi per essere vera deve sempre mescolarsi alla vita. Una vita che a San Vittore vuole continuare a vivere nonostante tutto; anche dentro le gabbie del “mago” Bianconi, tutte diverse poiché raccontano la diversità insita nella natura umana. Quella di Elena in primis: “Il mio dramma cominciò il 21 dicembre 2011 quando mia madre si tolse la vita in cella davanti ai miei occhi”.

D’allora la galeotta è impegnata in un percorso terapeutico volto a sconfiggere quei mostri interiori che ha spesso e inconsapevolmente proiettato fuori di lei: “Ho sempre pensato che il problema fosse degli altri ma il tempo mi ha insegnato che le difficoltà erano solo mie. Fino a due anni fa ero una persona pessima, il peggior rifiuto della società. Non posso dire di avere elaborato il passato ma da qualche parte devo pur cominciare”.

Nella poetica di Bianconi a farsi metafora è anche la freccia, un impulso che aspira a guardare oltre, una felice ossessione in cerca di una possibile direzione. Una direzione che Elena– la cui storia pare essere un ibrido tra favola nera e parabola mariana – sta cercando di regalarsi come meglio sa fare: “È molto faticoso perché la galera è un luogo di sofferenza. Mi ci sono voluti anni per capire che era ora d’iniziare a vivere perdonando, perdonandomi e lasciando andare questo schifo che non mi appartiene. In fondo io sono meglio di tutto questo”.

La donna dagli occhi celesti e dai capelli lunghi e neri continua a raccontare e a raccontarsi ora intonando una canzone di Marco Mengoni: “La porto nel cuore. Più di tutto amo quel motivo che dice: puoi apparire come vuoi, ma è solo quando piangi in silenzio che scopri davvero chi sei. Io chi sono l’ho scoperto qui dentro. Sono Elena e sono una guerriera”.

Lo spettacolo è finito. La polizia penitenziaria interrompe la detenuta ricordandole che è giunta l’ora di tornare in cella. La ragazza armata di tempo e pazienza viene scortata dagli agenti verso il braccio femminile, ignara di quanti anni le manchino per scontare la pena ma certa (alla stessa stregua di Bianconi) che pensiero e immaginazione sono fattori non carcerabili: “Possono toglierci tutto ma non la libertà di espressione”. A sottoscriverlo è l’articolo 21 della Costituzione italiana, a darne prova provata dietro le sbarre di San Vittore è Elena, l’imputata dalla maschera di ghiaccio e dallo sguardo di fuoco.

Foto: Enrico Amici.

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