Siamo un popolo versatile: di eroi, poeti, santi e avvelenatori di cani. Dal Piemonte alle Eolie, da Roma a Oristano, sulle pagine del web è tutto un fiorire di Sos raccapriccianti. E’ un fenomeno vasto e inarrestabile. Anche perché se avvelenate un bimbo, di sicuro non ve la cavate. Ma se avvelenate un cane o una volpe o un gatto o un capriolo, succede il contrario: ne uscite senza macchia. Sia perché pochi se ne accorgono sia perché, in ogni caso, l’indignazione ufficiale è scarsa e sui media non fa notizia. E allora avanti: ecco i wurstel con dentro chiodi e vetro triturato, le polpette alla stricnina che provocano nel cane un urlo da fine del mondo, ecco le salamelle condite con la sostanza lumachicida verde-azzurra che fa morire tra le convulsioni.
Come presidente di Gaia Animali e Ambiente, un’associazione che dà molto spazio all’aspetto giuridico del maltrattamento animale, Edgar Meyer ha messo insieme pile di dossier alte al soffitto. E due spiegazioni. C’è un primo livello, dice, di episodi contingenti: “Si avvelenano cani perché abbaiano, perché danno fastidio, perché il loro padrone ha fatto uno sgarbo o perché impediscono un furto”.
Ma in molte zone d’Italia il problema dei bocconi avvelenati non è episodico né di carattere morale, bensì un malcostume radicato, un dato economico “legato al miliardario giro d’affari che gravita attorno alle aziende faunistico-venatorie, laddove cioè si pratica la caccia a pagamento. Lo scopo degli avvelenatori è quello di sterminare predatori come volpi, faine, rapaci e gatti, da loro battezzati nocivi, per ridurre le perdite della selvaggina da ripopolamento che non è in grado di sopravvivere in natura. E così viene messa a repentaglio anche la vita di quegli animali domestici che vanno a passeggio per boschi e campagne con i loro padroni”.
Proprio ieri i volontari di Gaia (insieme con la Lega italiana difesa animali e ambiente) hanno dato appuntamento agli abitanti di Locate Triulzi (Milano) per affrontare il tema: lì, le polpette avvelenate sono arrivate fin dentro le aree ufficiali per lo sgambamento dei cani. Che fare?
Come cittadini, non girate la schiena all’odioso problema: sappiate che esiste, che non è marginale e che potete combatterlo anche solo facendo informazione, trovando alleati tra gli amici, compilando esposti, aderendo a petizioni che chiedano alla politica di approvare urgentemente almeno uno dei progetti di legge ad hoc messi a punto in questi anni. L’ultimo, a firma Movimento 5 Stelle (anch’esso appena presentato alla stampa), prevede di punire chi maltratta gli animali come non è mai successo: da uno a cinque anni di reclusione per chi li uccide, fino a tre anni per chi li abbandona, da sei mesi a quattro anni e ammende fino a 25mila euro per chi lascia in giro bocconi avvelenati (#proteggianimali).
Come proprietari di animali domestici, andrà aggiunto alle competenze di cui sopra lo stesso occhio vigile che ci contraddistingue con figli e nipoti: “Se il cane che avete lasciato libero in campagna o anche nel parco sotto casa sbuca da un cespuglio barcollando, in preda a tremori, con la bava alla bocca, se emette un grido mai sentito, sappiate che nel 99% dei casi lo hanno avvelenato”, spiega Oscar Grazioli, veterinario e giornalista, che nel suo studio di Reggio Emilia di casi del genere ne ha visti sfilare a decine. “Se capita, non perdete tempo: correte al più vicino soccorso veterinario per una lavanda gastrica o altri interventi urgenti”.
Adesso che lo sapete, specie se vi avventurate in zone a rischio o poco conosciute, portate sempre con voi i numeri telefonici e gli indirizzi degli ambulatori aperti 24 ore su 24. E considerate che in casi estremi, laddove non ci sono veterinari a portata di mano e il fai-da-te è un obbligo, potrebbe esservi d’aiuto avere con voi una boccetta di sostanza lumachicida: “5 cc di liquido somministrati per bocca con una siringa senza ago possono indurre il vomito e far espellere il veleno non ancora assimilato”, dice Grazioli. Che proprio ai pericoli grandi e piccoli in cui possono incappare i nostri amici a quattro zampe ha dedicato il suo ultimo libro, I no che aiutano i nostri animali (Salani).
Ricco di aneddoti coinvolgenti, spesso anche divertenti perché Grazioli è un emiliano doc incline all’umorismo, I no che aiutano i nostri animali è un tour guidato in 16 capitoli e 206 pagine nella nostra vita di tutti i giorni. Un manuale di informazione e prevenzione alla scoperta delle mille insidie (velenose e non) nascoste non soltanto in giardino e tra i cespugli, ma in cucina, in bagno e in garage, tra le pomate, gli utensili e i vasi dei fiori. Sia dove voi stessi sapete che sono, sia dove non avreste mai immaginato di trovarne.