In questi 20 giorni che hanno separato la notizia dell’indagine per corruzione di un sottosegretario di governo nell’ambito di un’inchiesta su cui si allunga pesantemente l’ombra della mafia fino all’ epilogo politico del caso Siri la politica e l’informazione si sono baloccate esclusivamente sulle tensioni, “le schermaglie”, il presunto “gioco delle parti”, gli insulti reciproci in funzione pre-elettorale tra i due vice Di Maio e Salvini, di volta in volta definiti “compari“, “complici“, “alleati-nemici“, “separati in casa“, divisi su tutto ma indissolubilmente avvinti dalla brama di potere.
Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte che ha dimostrato di non essere “il burattino”, “il fantoccio” o il notaio del “gatto e la volpe” ha fatto al meglio il suo dovere istituzionale: ha esposto la sua proposta di revoca chiedendo “la piena condivisione del metodo e della soluzione” ben consapevole della resistenza da parte della Lega, ma ancor più della necessità di dover dare un segnale netto di discontinuità con il passato per potersi dire rappresentante del “governo del cambiamento”.
E ha opportunamente rivendicato anche per il futuro il metodo adottato, e cioè di “poter discernere senza alcun condizionamento e senza alcun automatismo né favorevole, né contrario, caso per caso” ovviamente in base alla valutazione non solo della gravità del reato ma del contesto dell’inchiesta e della rete di rapporti tra politica ed affari che, nel caso di Armando Siri, includono la triangolazione con un imprenditore come Vito Nicastri, considerato finanziatore e protettore della latitanza di Matteo Messina Denaro.
In sintesi il risultato finale ed inoppugnabile è, al netto dei retroscena e dei retropensieri, che Armando Siri è fuori dal governo dopo 20 giorni, un tempo accettabile date le resistenze messe in atto, dopo le sparate quotidiane di Salvini, senza la temuta “conta” e con una “rinnovata fiducia” ribadita, si presume obtorto collo, ma comunque ribadita a Giuseppe Conte anche da parte dei ministri leghisti.
Naturalmente Lega e M5S rimangono profondamente divisi sulla questione morale (e non solo) di cui anche “i più allergici” sono costretti a riparlare perché almeno su questo, ma non è poco, il M5S sta tenendo il punto compattamente con tutte le sue variegate anime. Molto puntualmente Davide Casaleggio ha osservato che tutti i partiti farebbero bene “a copiare alcune buone pratiche” adottate dal M5S che, aggiungo io, paradossalmente è stato attaccato non solo da berlusconiani e affini ma da “autorevoli” indignati dell’intellighenzia di sinistra come Enrico Carofiglio e Massimo Giannini, per citarne due a caso, perché Di Maio in poche ore ha messo fuori dalla porta Marcello De Vito arrestato per corruzione, senza attendere il responso dei probiviri.
Non è azzardato pensare che anche la mappa della nuova e vecchia Tangentopoli sempreverde emersa in queste ore da nord a sud con una trasversalità e una virulenza ancora impressionanti abbia persuaso Salvini a non tirare ulteriormente la corda, con la consapevolezza di non poter archiviare “la questione morale” con qualche battuta o qualche Twitter da distrazione di massa.
Ad essere duramente colpita, con una massa di arresti che ha inchiodato quel che resta di FI al passato che non passa più, è stata in primis la sua Lombardia supercitato “modello di efficienza e di buongoverno”: inevitabilmente l’emersione di un sistema di tangenti in Regione con una retata di 43 persone tra cui vari esponenti di FI che come Pietro Tatarella rimangono sul loro scranno, si proclamano innocenti e rimangono muti davanti al magistrato e boss della ‘ndrangheta sempre più radicata rimette in cima alle priorità del M5S la questione morale su cui molto opportunamente sono intenzionati ad incentrare la campagna elettorale per le Europee.
Infatti bastano queste due ultime indagini, una a Milano e l’altra in Calabria, senza dimenticare nemmeno la Sanitopoli umbra, a sgomberare il campo da tutte le chiacchiere in libertà che ci vengono propinate ogni giorno sulle presunte emergenze nazionali, gli allarmi internazionali e le calamità prossime venture addebitabili al governo giallo-verde, ma in particolare alla incapacità, cialtroneria e quant’altro del M5S.
“La vera emergenza italiana è ancora una volta la corruzione della classe politica-imprenditoriale più malfamata d’Europa. E nella corruzione, nero, evasione fiscale c’è il freno alla crescita” come ha ricordato Marco Travaglio che sembra essere rimasto in questo paese l’unico “operatore dell’informazione” che fa questo mestiere dagli anni di Mani Pulite con il dono della memoria.