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Europee, Orbán e Macron fanno vacillare la candidatura di Weber in Commissione. E spunta Michel Barnier

Mentre l'annuncio di un mancato sostegno da parte del premier ungherese e l'ostilità del presidente francese mettono in discussione la posizione dello Spitzenkandidat dei Popolari, il capo negoziatore per la Brexit cerca di concretizzare una campagna elettorale dietro le quinte iniziata già anni fa

Traballa, e non poco, la sedia da Spitzenkandidat dei Popolari di Manfred Weber. Traballa ancora di più dopo che il primo ministro ungherese, Viktor Orbán, ha annunciato che non lo sosterrà come candidato alla presidenza della Commissione europea. Niente di numericamente determinante se una spaccatura del Ppe sulla figura del candidato di punta non rinverdisse però il desiderio di Emmanuel Macron di nominare un profilo diverso alla guida di palazzo Berlaymont. Il voto del presidente francese e della compagine liberale di Alde, con la quale formerà un nuovo gruppo di centro, è infatti necessario per raggiungere la maggioranza qualificata (55% degli Stati membri che rappresentano almeno il 65% della popolazione Ue) in sede di Consiglio Ue, necessaria per proporre il candidato al voto del Parlamento europeo. E dall’ombra, come si sussurra da mesi tra i corridoi delle istituzioni a Bruxelles, ricompare la sagoma di Michel Barnier, negoziatore europeo per la Brexit che metterebbe tutti (o quasi) d’accordo: Macron, in quanto più moderato e francese, e l’ala più liberale dei Popolari che ha nel Segretario generale della Commissione Ue, Martin Selmayr, il suo deus ex machina a Bruxelles.

Barnier si è ben guardato, in passato, dal manifestare la propria volontà di candidarsi, ma non ha mai smentito pubblicamente l’ipotesi di una sua presidenza nel caso in cui venisse richiesta la sua disponibilità. Una strategia che gli ha permesso di non esporsi eccessivamente, mentre invece godeva della visibilità datagli dalla gestione del più importante dossier europeo, quello riguardante l’uscita del Regno Unito dall’Ue, una campagna elettorale 365 giorni all’anno, ma che non lo ha mai messo fuori dai giochi per la poltrona più importante della Commissione. Il capo negoziatore per la Brexit sa bene che la candidatura di Weber non è e non è mai stata solida e universalmente condivisa, nonostante l’alta percentuale di consensi ottenuti dal capogruppo Ppe della Csu tedesca al Congresso del partito. La sua appartenenza all’ala conservatrice, inizialmente favorevole anche a un accordo con le destre sovraniste, non è mai andata giù a quella liberale dei Paesi del nord Europa e al blocco federalista della Cdu rappresentata in Europa dall’ex delfino di Jean-Claude Juncker, Selmayr.

Inoltre, nell’ottica di un’alleanza europeista post-elettorale che, oltre ai Popolari, comprenderebbe i Liberali e i Socialisti, un profilo conservatore come quello di Weber non faciliterebbe le trattative sulle nomine alle alte cariche dell’Unione. A osteggiare la figura del bavarese è prima di tutti il presidente francese che, con l’intento di creare una maggioranza pro-Ue e dalla forte anima liberale, preferirebbe vedere una “colomba” dei Popolari sedersi nell’ufficio all’ultimo piano del Berlaymont e non un esponente dell’ala conservatrice. Se riuscisse a compattare il suo nuovo gruppo, che sarà formato dagli esponenti di En Marche e da quelli del quasi disciolto Alde, soprattutto in sede di Consiglio europeo mancherebbero i numeri per mandare Weber a ricoprire la più alta carica dell’Ue.

Chi, invece, potrebbe accontentare tutti, è proprio Michel Barnier. Farebbe contento Selmayr e i suoi perché esponente di un’ala più moderata del Ppe, oltre a essere un profilo che da anni è in stretto contatto con l’entourage di Juncker, tanto da essere nominato uomo di fiducia per sedersi al tavolo con Londra sulla Brexit. Sarebbe contento, in caso di alleanza europeista, Emmanuel Macron che, oltre a far nominare un liberale in una delle altre alte cariche dell’Ue (si parla, ad esempio, del primo ministro olandese Mark Rutte alla presidenza del Consiglio europeo), sarebbe rassicurato dalla presenza di un moderato, oltre che francese, in Commissione. Sarebbe anche un migliore compromesso per i Socialisti che, in quanto seconda forza in campo, secondo i sondaggi, punterebbero alla presidenza del Parlamento europeo.

Si spiegherebbero, così, le numerose trasferte in giro per l’Europa che Barnier sta affrontando, nonostante al momento il fascicolo Brexit, almeno sul fronte europeo, si sia notevolmente raffreddato, per incontrare i capi di governo che saranno chiamati a nominare un candidato in sede di Consiglio Ue. Il 7 maggio era in Croazia, dove ha incontrato il primo ministro Andrej Plenković. Il giorno prima ha tenuto invece un discorso all’Università Tecnica di Monaco di Baviera, una vera e propria incursione in casa di Weber, dove ha esposto la sua idea di Europa del futuro. Proprio in occasione del suo discorso tedesco, Barnier è inciampato in una frase che è stata letta come una ammissione involontaria di ciò che il capo negoziatore ha in mente: “Quello che ho cercato di fare nel mio discorso… per coinvolgere i cittadini nel dibattito pubblico intorno a questa campagna…”, ha detto. Accortosi che le sue parole potevano essere interpretate in maniera diversa dalla sua volontà, si è subito ripreso precisando: “Non sono un candidato, ma ho provato a prendere parte, per il ruolo che ricopro e le responsabilità ad esso legate, e dire quello che penso”.

Barnier, l’agnello sacrificale che potrebbe diventare carnefice
Il legame tra Barnier e la poltrona più prestigiosa dell’Unione risale al 2014, quando il francese si offrì per diventare candidato di punta per il suo partito. Una gara persa in partenza, nonostante il relativo equilibrio del voto finale, visto che dall’altra parte c’era Jean-Claude Juncker, primo ministro del Lussemburgo per 19 anni, frequentatore del Consiglio europeo per un ventennio e politico in fase calante che aveva bisogno di un rilancio a causa di uno scandalo riguardante i servizi di intelligence che lo aveva travolto durante l’ultima legislatura: la figura perfetta per salire ai piani alti del Berlaymont e lasciarsi guidare dall’enfant prodige Selmayr (come raccontato in un’inchiesta del numero 19, anno 2, di FqMillenniuM) e dall’ala federalista della Cdu allora rappresentata dallo storico eurodeputato, Elmar Brok.

Così, la candidatura di Barnier permette al Ppe di svolgere una nomina interna democratica, con il francese che andrà comunque ad occupare la poltrona di commissario europeo per il Mercato Interno, prima di diventare, nel 2016, capo negoziatore per la Brexit. Oggi, con le elezioni europee alle porte, Barnier prova a riprendersi ciò che gli è stato sfilato cinque anni prima, questa volta, secondo fonti della Commissione sentite da Ilfattoquotidiano.it, con l’appoggio proprio di Selmayr, impegnato a proteggere le sue ultime conquiste e far eleggere quindi un candidato che eviti di portare sul tavolo della futura Commissione la sfiducia alla carica di Segretario generale dopo lo scandalo “Selmayrgate”. Una strategia che le stesse fonti sentite dal Fatto dicono essere iniziata già qualche anno fa, quando Barnier ha iniziato a sondare il terreno con alcune alte cariche del partito e dell’Ue per chiedere appoggio per la sua futura candidatura.

Twitter: @GianniRosini