Matteo Salvini è fascista? La bizzarra polemica innescata dalla presenza di un editore vicino a Casapound al Salone di Torino ci costringe a rispondere. Anche perché la polemica sembra dovuta più al fatto che quell’editore pubblica un libro intervista a Salvini, che alle sue nostalgie fasciste. Gli stand con i busti di Mussolini io li ho visti a tutte le fiere di Paese e perfino al meeting di Comunione e liberazione a Rimini: nessuno ha mai fiatato.
Un po’ di intellettuali di sinistra o comunque progressisti sembrano aver stabilito che sì, Salvini è fascista. Io ho il sospetto che tale sintesi sia frutto di una sciatteria linguistica e di furbizia retorica: poiché in Italia l’unica cosa davvero indifendibile è il fascismo, il modo definitivo per delegittimare l’avversario politico è dargli del fascista.
L’Italia, come è noto, è un Paese di 60 milioni di allenatori di calcio e, quando serve, di altrettanti politologi. Federico Finchelstein è uno storico, argentino ma studioso anche dell’Italia, e ha appena pubblicato per Donzelli l’edizione italiana di un libro che sembra scritto apposta per dirimere la questione di Torino: Dai fascismi ai populismi – Storia, politica e demagogia nel mondo attuale.
La sua tesi è semplice: populismo e fascismo sono due cose diverse, anche se con qualche punto di contatto. “Il primo è una forma di democrazia autoritaria, il secondo una dittatura estremamente violenta”. E poi, “se lo si storicizza adeguatamente, il populismo non è fascismo”. Finchelstein argomenta, da storico, che il populismo nasce (o meglio, rinasce nella sua forma contemporanea) in Sudamerica proprio come reazione al fascismo internazionalizzato. E’ un populismo anti-fascista, che del fascismo conserva le pulsioni autoritarie ma le incanala nella dinamica democratica.
Il fascismo prevede violenza, ideologia, un disegno di sovvertimento dell’ordine. Il populismo è, come dice il politologo Marco Tarchi, soprattutto una “forma mentis”. Un modo di intendere la democrazia (noi contro loro, popolo contro nemici del popolo, buon senso contro competenza). Ma non è eversione e violenza.
Salvini, se guardato con l’occhio dello studioso invece che con quello dell’attivista, è chiaramente un populista ma non un fascista. Anche se del fascismo sfrutta l’iconografia, i simboli, i gesti. Ottiene così due effetti: con una divisa o con un comizio da un balcone evoca immagini semplici ed efficaci di autorità che sono impresse in modo indelebile nell’immaginario diffuso degli italiani, anche di quelli che hanno studiato poco. Inoltre scatena una reazione pavloviana dei suoi avversari culturali e politici che finiscono per diventare identici alla macchietta del radical chic in terrazza evocata dalla propaganda leghista.
C’è violenza nel salvinismo? In un certo senso sì, se guardiamo la legge sulla legittima difesa e la continua apologia degli eroici sparatori. Ma anche in questo Salvini è populista, non fascista: incoraggia il popolo a difendersi da solo, vuole sostituire il buon senso e la compassione tra eguali (italiani) al codice penale, i protagonisti di questa violenza sono sempre benzinai, commercianti, pensionati… Non c’è l’elogio della violenza come metodo di governo, non ci sono le squadracce (sono sparite dal menù perfino le ronde padane, ve le ricordate?), non c’è neppure un tentativo di controllare gli apparati di sicurezza, dalla polizia all’intelligence, che ha caratterizzato la vera e pericolosa stagione neo e post-fascista nella stagione delle bombe di Stato e dei tentativi di golpe.
C’è solo un punto di vero contatto tra Salvini e il fascismo, se stiamo alle analisi di Federico Finchelstein: il popolo salviniano è demos, come nei populismi (incluso quello dei Cinque Stelle), ma è anche ethnos (come proprio dei fascismi). L’immigrato è il nemico in quanto straniero, scarto di quel globalismo che al “popolo” riserva soltanto i suoi frutti più avariati, mentre le élite ne gustano le primizie. Ma lo straniero è anche nero, africano, musulmano, dunque inferiore, privo di soggettività nella vita e nella morte (leggete lo straordinario libro del medico legale Cristina Cattaneo, Naufraghi senza volto, sull’impresa di restituire almeno un nome a chi affoga).
Vi sembra un dibattito teorico? A me no. Contro un populista si reagisce con una battaglia di idee, rivendicando – all’interno di una cornice democratica che ad oggi non vacilla – che la democrazia non è soltanto la supremazia della maggioranza, ma è prima di tutto diritti delle minoranze. Che il popolo è vario e composito, con esigenze e bisogni tutti legittimi ma da bilanciare, perché tra loro contrastanti. E che a nessuno conviene davvero un’Italia chiusa: non agli imprenditori inseriti in catene del valore globale, non agli studenti che vogliono andare e venire dal mondo, e neppure chi teme gli immigrati (meglio consolidare l’influenza italiana in Nord Africa con investimenti e politica estera che cercare di fermare i barconi).
I populisti si combattono con le idee, magari anche con l’ironia, come fanno i ragazzi che hanno usato contro Salvini la sua ossessione per i selfie, mettendolo in ridicolo sui social. I fascisti, invece, si combattono con la Resistenza. Con i fucili, con le pistole, magari con le bombe. Nella storia d’Italia ne abbiamo avuti fin troppi di sedicenti eredi dei partigiani che hanno deciso di continuare una guerra civile tutta personale ammazzando chi giudicavano fascista o collaborazionista.
La democrazia va difesa dai fascisti e dai populisti. Ma va difesa anche da coloro che concepiscono la battaglia delle idee soltanto in termini di guerra civile.