What you gonna do when the world’s on fire? (Che fare quando il mondo è in fiamme?) è il nuovo documentario, con al centro un’alterità antropologica e culturale “lontana”, di un talento autentico come Roberto Minervini. Un italiano (europeo?) che osserva un pezzo di terra americana apparentemente nascosto. Profondo sud, Louisiana, una comunità afro-americana investita nel 2016 da una serie di omicidi. Chief Kevin, il grande capo delle Frecce Ardenti, quello che si cuce i vestiti, si traveste, tramanda la tradizione e suona una musica che è “un canto di botta e risposta accompagnato da percussioni”. Judy, figlia di musicisti di Tremé, quartiere nero di New Orleans, ha rilevato lo storico bar Ooh Poo Pah Doo e ora deve rivenderlo, strozzata da affitti alle stelle perché Tremé è diventato quartiere alla “moda”. Ronaldo, quattordicenne che protegge il fratellino Titus mentre la mamma single intima loro di stare lontani dalla strada e dalla criminalità. Infine un drappello agguerrito, quasi malinconico, ma straordinariamente tenace e attivo di Black Panthers. Minervini sceglie come sempre (Louisiana, Stop the pounding heart) l’essenza del cinema documentario: cogliere dettagli, storie, vite, echi di parole e significati nell’atto del loro esprimersi naturale, senza forzare il dispositivo, cercando di falsificare il meno possibile (anche in fase di sintassi al montaggio) la visione. Inoltre non ha il desiderio di costruire pamphlet.
Il suo essere politico è l’atto in sé del filmare e raccontare senza proporre tesi e lezioni morali. Poi chiaro un messaggio etico emerge, ma è la visione a proporlo, a trasmetterlo, ipnotizzando lo spettatore. Non una voce fuori campo, penzolanti didascalie o peregrine scelte narrative. Ecco allora che What you gonna do when the world’s on fire? si fa un ritratto serio, rispettoso, umano e vibrante di una situazione di forzata inferiorità culturale e sociale, di continua oppressione periferica dei neri d’America qui in una variante meticcia incredibile e sconosciuta.
Certo, ci sono sempre i Trump, i nazisti dell’Illinois, tutte le possibili polemiche giornalistiche e sociologiche da East Coast liberal, ma qui davanti alla cinecamera, dentro al bianco e nero scelto da Minervini scorre il sangue della realtà. “Nei miei film precedenti – ha spiegato Minervini – ho raccontato storie del Sud americano che si sono svolte in forme inaspettate sotto i miei occhi. Ho documentato aree dell’America di oggi dove i semi della rabbia reazionaria e anti-istituzionale (cui il paese deve la presidenza di Donald Trump) erano già stati piantati, anche se in pochi si erano presi la briga di accorgersene. Questa volta ho voluto scavare ancora più a fondo, alle radici della disuguaglianza sociale nell’America di oggi, concentrandomi sulla condizione degli afroamericani. Lavorando con diverse comunità africane americane della Louisiana meridionale, siamo riusciti ad avere accesso a quartieri e comunità di New Orleans off-limits per i più. Mi sono presto reso conto che la maggior parte delle persone era stata segnata da due pagine drammatiche della storia recente – le conseguenze dell’uragano Katrina del 2005 e l’uccisione di Alton Sterling per mano della polizia nel 2016 –, riconducibili entrambe alla negligenza istituzionale, alle disparità sociali ed economiche, al forte razzismo endemico. Mossa dalla collera e dalla paura, la gente cercava un’occasione per raccontare a voce alta le proprie storie. La mia speranza è che il film susciti un dibattito necessario sulle attuali condizioni dei neri americani che, oggi più che mai, assistono all’intensificarsi di politiche discriminatorie e crimini motivati dall’odio”. In sala da oggi.