“La popolazione italiana non possiede le competenze di base necessarie per prosperare in un mondo digitale, sia in società sia sul posto di lavoro“, parola dell’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE), che ha tracciato un quadro abbastanza preoccupante per la situazione italiana. I dati sono contenuti nella relazione Skills Outlook 2019, che scatta la fotografia delle competenze digitali dei cittadini di 29 Paesi fuori e dentro la Comunità Europea. Perché le competenze digitali? Perché nell’era della digitalizzazione sono un requisito fondamentale per garantire alle persone maggiori probabilità di adattarsi quando la digitalizzazione trasformerà il mondo del lavoro e delle attività quotidiane.
Nella relazione si legge che “un’ampia gamma di competenze permette di sfruttare dei vantaggi derivanti dall’uso di Internet e delle nuove tecnologie. In Italia, tuttavia, solo il 21% degli individui in età compresa tra i 16 e i 65 anni possiede un buon livello di alfabetizzazione e capacità di calcolo (cioè ottengono almeno un punteggio di livello 3 nei test di alfabetizzazione e calcolo PIAAC). Si tratta del terzo peggior risultato tra i paesi esaminati“, dopo Turchia e Cile.
È importante capire che cos’è il PIAAC, ossia il Programme for the International Assessment of Adult Competencies ideato dall’OCSE. Esiste dal 2011 e consiste in un questionario e dei test cognitivi che vengono somministrati consecutivamente durante un’intervista di un’ora e trenta minuti circa. I test avvengono su computer e in forma rigorosamente anonima. Il questionario indaga la condizione socio-anagrafica dell’individuo, i percorsi d’istruzione e la formazione svolta nel corso della vita lavorativa, la sua storia professionale e lo status occupazionale, oltre ad aspetti più “personali”, come ad esempio gli atteggiamenti sociali e indicazioni relative alla famiglia attuale o a quella d’origine. I test cognitivi misurano invece l’abilità nella lettura nella comprensione di testi, conoscenze matematiche e capacità di risolvere problemi in ambienti tecnologicamente avanzati.
Oltre al dato già indicato, l’OCSE ha calcolato che solo il 36% del campione italiano è in grado di utilizzare Internet in maniera complessa e diversificata. Si tratta del livello più basso in assoluto tra quello dei Paesi OCSE per cui il dato è disponibile.
Le cose non vanno meglio quando l’analisi si focalizza sul mondo del lavoro. Le risorse ICT sarebbero utilizzate, ma con meno intensità rispetto ad altre nazioni OCSE, tanto che il 13,8% dei nostri lavoratori occupa attualmente posizioni ad alto rischio di automazione (negli altri Paesi siamo attorno al 10,9% in media) e necessita dunque di una lunghissima formazione, fino anche a un anno, prima di essere in grado di passare a occupazioni con minor rischio. Addirittura, il 4,2% necessiterebbe allo stesso scopo di una formazione fino a tre anni.
Da notare che lo Skills Outlook Scoreboard valuta tre parametri principali: Competenze per la digitalizzazione, Esposizione digitale e le Politiche relative alle competenze. Per quanto riguarda l’ultimo comparto, Angel Gurría, segretario generale dell’OCSE, spiega che “nel nostro mondo in rapida digitalizzazione i governi dovranno trovare il giusto equilibrio tra le politiche che promuovono la flessibilità, la mobilità del lavoro e la stabilità del lavoro”. “Le imprese – aggiunge Gurría – hanno anche un ruolo chiave da svolgere nel miglioramento e nella riqualificazione, adattandosi alle mutevoli esigenze del mercato del lavoro. Migliorando i nostri sistemi di competenze, possiamo essere certi di avere una vita migliore per tutti”.
Volendo trovare una nota agrodolce nella relazione, si può indicare che l’Italia non è l’unica ad arrancare quanto a competenze digitali: dei 29 Paesi analizzati, solo sei (Belgio, Danimarca, Finlandia, Paesi Bassi, Norvegia e Svezia) stanno crescendo. Come si usa dire, mal comune mezzo gaudio.