Un’altra sfida a Matteo Salvini, l’alleato del “loro” Movimento 5 Stelle, lanciata dai consiglieri pentastellati di Torino. Mentre il ministro dell’Interno dichiarava che “non esiste una droga depotenziata, esiste la droga e fa male”, lanciando la sua nuova campagna contro i negozi di cannabis legale, il Consiglio comunale del capoluogo piemontese ha approvato all’unanimità una mozione che obbliga la sindaca Chiara Appendino a chiedere al governo l’autorizzazione per coltivare la canapa necessaria a scopi medici e di ricerca. Così i consiglieri grillini, dopo essersi opposti alle nuove regole sull’accoglienza dei richiedenti asilo, hanno lanciato una nuova sfida al segretario della Lega, alleato di governo a Roma.

Tutto parte da un fatto. L’uso della cannabis può essere autorizzato ai pazienti per trattare i sintomi della sclerosi multipla, delle lesioni del midollo spinale, ma anche gli effetti collaterali di chemioterapia e altro ancora. Tuttavia, in Italia la cannabis con Thc, il principio attivo, è prodotta soltanto nello Stabilimento chimico farmaceutico militare di Firenze, ma non è sufficiente per far fronte alle richieste. Soltanto nel Piemonte si è passati dai 63 pazienti autorizzati nel 2016 ai 200 del 2017, con un aumento di centomila euro di spesa pubblica nel giro di un anno. La domanda sale e quindi il governo è costretto a rifornirsi di cannabis all’estero, soprattutto nei Paesi Bassi. Da più istituzioni, quindi, arriva la richiesta di avviare la produzione. Lo hanno fatto Milano e la Lombardia. E ora all’elenco potrebbe aggiungersi anche la città di Torino, se la giunta portasse avanti questo atto di indirizzo politico voluto dal consigliere Federico Mensio.

A perorare questa causa è intervenuto Simone Stara, tetraplegico da 25 anni che nel maggio 2018 ha fondato con altre persone l’associazione Seminiamo Princìpi: “Le numerose terapie farmacologiche hanno sviluppato in me farmacoresistenza – ha spiegato – A lungo ho chiesto a vari specialisti se potevano prescrivermi la cannabis perché avevo sperimentato personalmente il suo effetto benefico e letto ricerche scientifiche che ne dimostravano l’efficacia”.

Stara ha spiegato di aver “coltivato la sua terapia” e di essersi rivolto al “mercato nero” quando non gli è stato possibile produrre da sé la cannabis. Dopo una visita specialistica con un terapista del dolore che gli ha prescritto i dosaggi adeguati, ha avuto dei miglioramenti, ma non abbastanza: “Sono emersi a questo punto problemi legati alla continuità della cura non ricevendo ogni mese quanto mi era stato prescritto – ha aggiunto -. A causa della mancanza di terapia ho subito un peggioramento rischiando un nuovo ricovero”. L’associazione ha creato un dispensario: “Non sono e non voglio essere uno spacciatore, desidero solo curarmi in maniera seria ed efficace, come sostiene l’articolo 33 della Costituzione”. “C’è ancora chi sostiene che questo problema non sia una priorità”, ha concluso.

“Ci sono tantissime testimonianze come questa che dimostrano l’efficacia di prodotti a base di cannabis su determinate patologie – ha spiegato Alessandro Barge, del Dipartimento di Scienza e tecnologia del farmaco (Università di Torino) e componente di un gruppo di studio universitario sulla cannabis ad uso terapeutico – Tuttavia, oggi non c’è un numero sufficiente di studi condotto con criteri scientifici appropriati in grado di dimostrare in modo conclusivo l’attività della cannabis e dei suoi derivati”. Secondo Barge bisogna quindi aumentare la produzione affinché sia destinata anche alla ricerca scientifica: “Una produzione di questo tipo va studiata nel dettaglio e richiede tempi”. Anche lui ritiene che sia necessario dare una corretta informazione sull’uso della cannabis e sull’accesso alle terapie: “Tutta l’informazione fatta oggi arriva dai produttori di cannabis – ha spiegato – Così molti pazienti sono stati indirizzati verso i negozi di cannabis light o legale scambiandola per cannabis terapeutica o qualcosa di analogo. Questo è pericoloso perché non sono controllate per la presenza di metalli pesanti, pesticidi, tossine, batteri o muffe che possono essere pericolose. I pazienti rischiano di assumere prodotti pericolosi”.

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