TUTTI PAZZI A TEL AVIV - 2/6
di Sameh Zoabi. Con Kais Nashif, Yaniv Biton, Lubna Azabal. Israele/Lussemburgo/Francia/Belgio 2018. Durata: 97’.Voto: 3,5/5 (AMP)
“Dire a una donna sei una bomba è un’offesa o un complimento?”. Se dalle nostre parti non ci sono dubbi, questi si palesano in certi territori sensibili, fra cui la tormentata Cisgiordania il cui muro separa la quotidianità di chi vi abita. Tra loro è l’aspirante sceneggiatore palestinese Salam, arruolato da dialoghista in ebraico dallo zio produttore per la sit com superpopolare sia fra arabi che ebrei Tel Aviv on Fire ambientata nel fatidico 1967. Attraversando ogni giorno il checkpoint s’imbatte in un colonnello israeliano con velleità autoriali: da quel momento la trama della serie tv è sottoposta alle suggestioni da ambo le parti fra segreti, bugie e rocambolesche sorprese.
Applaudito e premiato (l’attore Kais Nashif) a Venezia Orizzonti 2018, Tutti pazzi a Tel Aviv offre un modello esemplare di come ridere di una tragedia, per dirla alla Chaplin, di come“prendere il proprio dolore e giocarci”. E la condizione, tanto in letteratura come nel cinema, non cambia: al centro deve stare una scrittura solida. In tal senso il film del palestinese Zoabi è doppiamente pertinente, sia in senso largo che stretto: largo perché la commedia è essenzialmente scrittura, e stretto perché si tratta di una luminosa “messa in scena” della scrittura. Un esempio di meta-cinema (meglio dire di “cinema sulla tv”) con lucidità politica e respiro etico: tentare la pace nel conflitto più lungo della Storia si può, ma purtroppo questa va ancora “filtrata” dalla finzione.