“Gianni vieni con noialtri a pescar, perchè ne manca solo el verme!”. In un pomeriggio di più di un quarto di secolo fa, i veneziani imbufaliti con il loro ex ministro diventato uno degli embemi delle ruberie della Prima Repubblica, si accalcarono in piazza San Marco, sotto l’ala delle Procuratie. In uno dei piani alti, nell’ufficio dell’allora sostituto procuratore Carlo Nordio, il magistrato che stava indagando sulla Mani Pulite in Veneto, era cominciato da poco il primo interrogatorio di Gianni De Michelis, il “doge di Venezia” socialista (l’altro era il democristiano Carlo Bernini). La voce era passata di bocca in bocca, per le calli. E la gente aveva cominciato ad accalcarsi verso il palazzo di giustizia. Era il 1993 e l’Italia aveva ormai scoperto di essere stata amministrata da una banda di partiti che si spartivano tutto: seggiole, poltrone, appalti, fiumi di denaro. Anche in Veneto, con il ferreo accordo dei due politici più potenti.
L’interrogatorio di De Michelis era attesissimo, un punto di svolta di un’inchiesta che riguardava alcuni appalti autostradali, in particolare la bretella di collegamento tra Mestre e l’Aeroporto Marco Polo, diventata la mangiatoia per Psi e Dc, assieme a lavori di disinquinamento, con la regia dei vertici della Regione Veneto. Altri tempi, un altro mondo. Ma quell’inchiesta aveva perfino anticipatoTangentopoli, visto che era nata nell’autunno 1991, con alcune intercettazioni ambientali riguardanti una famosa famiglia di costruttori veneti. Anticipò di tre mesi la famosa mazzetta che Marietto Chiesa del Pio Albergo Trivulzio incassò da un imprenditore (14 milioni di lire), ma che negò di aver gettato in un wc per non farla trovare ai carabinieri milanesi coordinati da Antonio Di Pietro.
Di quel pomeriggio in Laguna, nel giorno della morte di Gianni De Michelis, rimane il ricordo dei veneziani inferociti che gridavano contro il loro concittadino più famoso. Era l’Italia popolare che si ribellava alla casta della politica, anche se fino a qualche mese prima molti erano andati in processione da lui per ottenere favori e prebende. Il primo interrogatorio di Gianni De Michelis, imputato di corruzione e finanziamento illecito dei partiti, finì con qualche formalità, l’impegno dell’ex ministro a farsi interrogare nuovamente e la promessa di ammettere le proprie colpe. Il che avvenne dopo poche settimane, ma a Treviso. Il pm Nordio preferì allontanarsi dall’epicentro della Tangentopoli veneta e concordò con De Michelis il vero incontro per la resa dei conti con la giustizia.
De Michelis aveva capito che ormai la situazione era diventata indifendibile. Anche perchè da Milano gli era arrivato un altro avviso di garanzia per l’affare Enimont. In totale ebbe uan ventina di procedimenti (molti conclusi con l’assoluzione). Ma soprattutto perchè a Venezia aveva riempito pagine e pagine di verbali una delle sue segretarie, Nadia Bolgan, che era stata la moglie di Giorgio Casadei, il vero collettore di mazzette per conto del Psi veneto. La Bolgan andò contro corrente, raccontò dall’interno il meccanismo della bella vita e della politica dei socialisti rampanti. Per questo De Michelis, con le spalle al muro, decise di fornire a Nordio un elenco dei soldi che aveva ricevuto, per interposta persona. A spanne si trattava di alcuni miliardi di lire. Praticamente l’altra faccia di quello che avveniva in casa democristiana, dove l’ex ministro Carlo Bernini aveva regnato incontrastato quale presidente della giunta regionale.
La storia giudiziaria di De Michelis ebbe poi un epilogo morbido. In primo grado il pm veneziano chiese una condanna a un anno e 8 mesi di reclusione. L’ex ministro era difeso da Gaetano Pecorella e da Giovanni Maria Flick. I giudici gli inflissero una pena severa, 4 anni di reclusione. Ma in appello usufruì del patteggiamento ad un anno e 6 mesi, a cui si aggiunsero sei mesi per lo scandalo Enimont. In totale la pena ammontò a due anni, con la condizionale.
Su di lui calò il sipario giudiziario. Ma a Venezia non si spense l’eco delle sue feste memorabili nel palazzo sul Canal Grande, con gli uomini di scorta del ministro degli esteri che aspettavano con pazienza fino all’alba. Erano gli anni dei socialisti che pensavano di avere in mano il mondo della politica e di alcuni di loro che avevano trasformato la politica in un gigantesco albero di cuccagna.