Tremilacinquecento chilometri, da Bologna a Verona, da Nord a Sud (molto poco Sud, in realtà: non si scende più in basso di San Giovanni Rotondo), tanta crono (solo in apparenza) e ancor di più salita, poche certezze chiamate Nibali, Dumoulin e Yates, forse anche Roglic e Bernal. Nessun numero uno, alla partenza e sulle spalle: parte il Giro d’Italia 2019, in cerca di una nuova maglia rosa e di un’edizione all’altezza della precedente.
Il 2018 è stato l’anno di Chris Froome e della sua impresa leggendaria sul Colle delle finestre, dove il britannico, fino ad allora campione solo in Francia, ribaltò un Giro fino ad allora apatico, dando mezz’ora agli avversari dopo una fuga di 80 km ed entrando definitivamente nell’Olimpo del ciclismo. Stavolta il britannico non ci sarà, come diversi big mondiali che hanno deciso di puntare sul Tour. La Corsa Rosa dovrà trovare nuove rivalità e spunti d’interesse, considerando anche che il primo arrivo in salita sarà soltanto alla tredicesima tappa, venerdì 24 maggio, praticamente dopo due settimane in cui rischia di non succedere quasi nulla.
Non vuol dire che fino ad allora le tappe saranno tutte banali. Anzi: la prima settimana vede una serie di frazioni molto lunghe (spesso sopra i 200 km di percorrenza), a volte pure movimentate. Alla fine i veri delusi di questo Giro potrebbero essere proprio i velocisti, a partire dall’azzurro Elia Viviani, che non avranno tante occasioni di vittoria in volata, e comunque dovranno sudarsele care. La prima vera svolta è alla nona tappa, la cronometro Riccione-San Marino, la seconda delle ben tre previste dal calendario ma in fondo l’unica vera corsa contro il tempo: il prologo di Bologna dura appena 8 km, l’epilogo a Verona 17 ma con all’interno la salita delle Torricelle. In questo caso il chilometraggio è maggiore (35 km) ma anche qui con una lunga salita conclusiva di 12 km che nel finale la trasforma quasi in una cronoscalata. Complessivamente i chilometri a cronometro sono circa 60, ma non è il terreno prediletto dai passisti puri. Una conformazione ben precisa che potrebbe pesare molto per la classifica finale e i pretendenti al podio.
I favoriti non si nascondono. Senza Chris Froome che quest’anno ha deciso di concentrarsi sul Tour per riconquistarlo dopo la mancata doppietta del 2018, senza l’ormai suo ex scudiero Geraint Thomas che l’hanno scorso gli ha sfilato la maglia gialla, senza anche Nairo Quintana e Richie Porte, la battaglia al Giro si annuncia al contempo molto aperta e molto chiusa. Non c’è un favorito d’obbligo, ma al contempo è difficile che la maglia rosa esca da un lotto ristretto di tre nomi.
Tra questi c’è sicuramente Vincenzo Nibali, forse a una delle ultime occasioni di una carriera comunque stellare: qui ha già vinto nel 2013 e nel 2016, dopo un 2018 sfortunato e sottotono a 34 anni cerca il suo terzo trionfo: le tante montagne potrebbero essere le sue migliori alleate. Probabilmente prima di lui in un’ipotetica griglia di partenza vengono però due stranieri: Simon Yates, fortissimo in montagna, l’anno scorso ha avuto in mano il Giro per due settimane prima di crollare a Bardonecchia, poi a settembre ha vinto pure la Vuelta. Può essere la volta buona anche in Italia. Per farlo, dovrà staccare Tom Dumoulin, olandese primo al Giro 2017 e secondo al Tour 2018, una vera macchina da guerra che a crono non ha rivali e ormai pure in montagna è fra i migliori. Occhio però anche a Primoz Roglic, quarto al Tour lo scorso anno, in forma strepitosa in quest’inizio di 2019 (ma con poca esperienza sulle spalle e forse tenuta in salita). Come sorprese, il colombiano Bernal, o magari gli azzurri Pozzovivo e Formolo. Quasi tutti i big, da Dumoulin a Nibali, hanno già annunciato che a luglio proveranno a fare anche il Tour: il sogno dell’accoppiata, che non è mai più riuscita a nessuno dopo Pantani, continua ad esercitare un fascino irresistibile sui corridori.