L’ex presidente di Legambiente chiede conto al ministro dell’Ambiente e al ministro dello Sviluppo economico di alcune azioni che ritiene non più rinviabili dopo l'inchiesta per disastro ambientale della procura di Potenza: dalla bonifica delle aree contaminate, anche “attraverso il riconoscimento della responsabilità oggettiva della società Eni”, al rafforzamento del sistema di controllo e monitoraggio gestito dal ministero dell’Ambiente
Un’interrogazione parlamentare per chiedere il rigetto dell’istanza di proroga della concessione Val d’Agri, in scadenza al 26 ottobre 2019, presentata da Eni al ministero dello sviluppo economico il 27 ottobre 2017. Una concessione di cui è parte integrante il Centro Oli di Viggiano, al centro di un’inchiesta su una fuoriuscita di petrolio, riconosciuta pubblicamente nel febbraio 2017 e che, probabilmente negli anni, ha contaminato il ‘reticolo idrografico’ e decine di ettari della Val d’Agri. A firmarla è la deputata Rossella Muroni (Leu). L’ex presidente di Legambiente chiede conto al ministro dell’Ambiente Sergio Costa e al ministro dello Sviluppo economico Luigi Di Maio, rispetto ad alcune azioni che ritiene non più rinviabili: dalla bonifica delle aree contaminate, anche “attraverso il riconoscimento della responsabilità oggettiva della società Eni”, al rafforzamento del sistema di controllo e monitoraggio gestito dal ministero dell’Ambiente.
LA CONVENZIONE IN SOSPESO – Il titolare del dicastero, nel frattempo, è ancora atteso a Potenza, dopo il rinvio della firma della convenzione, scaduta ad agosto 2018, che Costa avrebbe dovuto firmare con Arpab, facendo ripartire i controlli a Viggiano. A confermarlo a ilfattoquotidiano.it è l’assessore regionale all’Ambiente uscente Francesco Pietrantuono (Psi). Il rinvio comunicato a marzo ha suscitato polemiche, perché il ministro non ha invece rinunciato, lo stesso giorno, ad essere presente agli appuntamenti elettorali previsti in città. “Si tratta di un accordo molto importante – spiega Pietrantuono – per la nostra regione e per la sicurezza dei cittadini”.
I TIMORI DI GRIFFA – La deputata parla di una recente nota del Coordinamento nazionale No Triv, che riporta in virgolettato alcuni passaggi dell’ordinanza del gip di Potenza: “L’ingegner Griffa faceva riferimento alle possibili cause del deterioramento del fondo del serbatoio” e ricordava che “analogo problema si era presentato per i serbatoi che, nella Raffineria di Taranto, ricevevano l’olio di Viggiano”. Griffa, inoltre, si interrogava sulla possibilità che vi fosse “un problema di glicole già noto dal 2011, ossia un problema ricollegabile alla sostanza usata per disidratare il gas, ipotizzando che una parte di tale sostanza non fosse drenabile a causa dei bassi tempi di ritenzione e per l’assenza di un vero e proprio sistema di drenaggio”. Sempre Griffa, risulta dalle carte, rivelò che “in una riunione plenaria svoltasi nel febbraio 2013 per trattare la questione, gli esperti avevano concluso che il problema poteva essere risolto solo con la riduzione della portata del gas”.
“VERIFICARE LA FONDATEZZA” – Ed è alla luce di queste rivelazione che, secondo l’ex presidente di Legambiente “è importante che magistratura e forze dell’ordine verifichino la fondatezza dei timori espressi dall’ingegnere”. “Tutti e quattro i serbatoi a Viggiano sono interessati dallo stesso problema di corrosione”, scrive inoltre la deputata Leu. Muroni, poi, parla della valutazione del trascinamento delle ammine e del volume del loro utilizzo, sottolineando che possa avvenire “in relazione all’erogazione del gas disidratato e pretrattato e a possibili manomissioni delle valvole di controllo dei flussi in uscita”. Per questo, spiega “le necessarie attività di indagine e di verifica devono svolgersi anche con riferimento ai serbatoi della raffineria di Taranto e alle centinaia di chilometri di condotte che attraverso cinque linee trasportano petrolio e gas dal Cova di Viggiano fino a Taranto”.
UNA NUOVA STRATEGIA – La parlamentare chiede ai due ministeri se non ritengano “improcrastinabile adottare iniziative” per definire una strategia d’uscita dallo sfruttamento del petrolio in Basilicata, che passi attraverso la riconversione “al cento per cento al rinnovabile del sistema energetico”, con la dismissione graduale dei pozzi attivi “e la transizione verso comparti produttivi moderni e sostenibili, garantendo e incrementando i livelli occupazionali”.