Strada dei Parchi annuncia la chiusura del traforo del Gran Sasso dalla mezzanotte del 19 maggio e fonti del ministero delle Infrastrutture agitano lo spettro della “revoca immediata della concessione” perché se la società dovesse passare dalle parole ai fatti si tratterebbe di una “procurata interruzione di pubblico servizio che equivarrebbe a un inadempimento” grave da parte della controllata da Toto holding Spa. Uno scambio di accuse con la società che fa filtrare: “Il ministero sapeva da aprile”.
Per provare a sciogliere il nodo, il Mit ha quindi convocato per martedì un incontro con Strada dei parchi. Alla base della decisione annunciata dalla concessionaria c’è la vicenda giudiziaria per “presunte interferenze tra i laboratori, le gallerie autostradali e il sistema di condutture delle acque con criticità mai sanate e con un rischio permanente per la salubrità delle acque” delle falde acquifere del massiccio abruzzese, il più alto dell’Appennino.
Fonti della Strada dei Parchi spiegano che la società ha scritto il 5 aprile annunciando la decisione di chiudere il traforo del Gran Sasso e il Mit ha risposto il 10 aprile. Nella risposta, spiegano fonti della società, non emergerebbero obiezioni. In più non spetterebbero alla concessionaria – è la versione del privato – gli interventi sul sistema idrico del Gran Sasso perché in un documento sempre il Mit precisa che questi non sono “contemplati” nell’attuale convenzione per la concessione.
L’eventuale chiusura metterebbe in difficoltà anche i laboratori Lngs del Gran Sasso, come spiega l’Istituto nazionale di fisica nucleare in una richiesta rivolta a Strada dei Parchi nella quale viene sollecitata una soluzione. L’invito è quello di garantire l’accesso alle strutture al fine di “mantenere una minima operatività e monitorare la sicurezza degli esperimenti in corso”. Fondamentale, sottolineano gli Lngs è “assicurare infatti l’accesso alle sale sperimentali che sono all’interno del tunnel del Gran Sasso. Ciò per rendere possibile l’operatività minima, a garanzia della sicurezza dei laboratori e per la gestione ordinaria degli esperimenti”.
La riunione di venerdì in Prefettura a Teramo, durante la quale la concessionaria delle autostrade abruzzesi e laziali A24 e A25 ha illustrato il piano operativo per la chiusura, ha scatenato reazioni a catena sia da Roma sia nel territorio regionale. Il rischio legato alla chiusura è infatti che l’Abruzzo venga tagliato in due. Sul banco degli imputati sono finiti Strada dei Parchi e il Governo nazionale: pressante la richiesta di incontri urgenti con tutti gli attori coinvolti e la nomina di un commissario, che il Governo ha previsto in un provvedimento e che, oltre alla progettazione e ai lavori di messa in sicurezza per un importo stimato di circa 172 milioni di euro, si interessi anche di gestione dell’infrastruttura.
Dopo l’intervento del sindaco dell’Aquila, Pierluigi Biondi, che aveva parlato “di atto irresponsabile”, a scagliarsi contro la società è oggi il sottosegretario ai Beni culturali, il pentastellato abruzzese Gianluca Vacca, che ha minacciato la revoca della concessione se il traforo verrà chiuso. Una linea sposata da fonti ministeriali. Presto – ricordano sempre dalle Infrastrutture – sarà nominato un commissario per il rischio idrogeologico del Gran Sasso, ribadendo che sarà presentato un emendamento al decreto Sblocca cantieri. Il commissario si occuperà proprio della “progettazione e realizzazione degli interventi per la messa in sicurezza del sistema idrico”.
Ma nonostante oggi abbiano mantenuto le bocche cucite, i vertici di Strada dei Parchi sono intenzionati ad andare fino in fondo: come hanno sottolineato ieri fonti della società, gli amministratori vogliono presentarsi alla prima udienza del processo fissata il 13 settembre prossimo senza rischiare l’accusa di reiterazione del reato di inquinamento ambientale per il quale sono imputate dieci persone, tra dirigenti della stessa concessionaria, di Ruzzo Reti Spa, società pubblica del ciclo idrico integrato nel teramano, e dell’Istituto nazionale di fisica nucleare del Gran Sasso. Al processo si è giunti dopo la citazione a giudizio da parte della Procura, che ha fatto saltare l’udienza preliminare.