“Perché quelle pagine sono state cancellate? Dovreste chiederlo a Facebook. Noi abbiamo fornito il materiale, a cui è seguita una loro istruttoria interna. Non rendono mai pubblico il motivo di una rimozione, a meno che non venga rilevata un’interferenza dall’estero (Coordinated Inauthentic Behavior). Quindi soltanto loro sanno perché hanno agito in questo modo, anche se lo fanno in base alle loro regole, che devono essere legali. Condividiamo anche noi, però, che debbano essere più chiari e trasparenti”. Luca Nicotra parla a nome di Avaaz, il sito di cittadinanza attiva che il 3 maggio ha presentato alla piattaforma di Mark Zuckerberg un report in cui venivano individuati “14 network su Facebook che comprendevano 104 tra pagine e gruppi con un totale di 18,2 milioni di follower che condividevano disinformazione e contenuti d’odio, di cui oltre la metà a sostegno di Lega e Movimento 5 Stelle”. Il risultato: Facebook ha deciso di rimuovere 23 delle pagine segnalate. “Ringraziamo Avaaz per aver condiviso le ricerche affinché potessimo indagare – hanno fatto sapere da Facebook -. Siamo impegnati nel proteggere l’integrità delle elezioni nell’Ue e in tutto il mondo”.

La rimozione delle pagine, ha dichiarato un portavoce di Facebook, era legata al fatto che in molti casi si trattava di “account falsi e duplicati che violavano le nostre policy in tema di autenticità, così come diverse pagine per violazione delle policy sulla modifica del nome”. In “molti casi”, ma non è dato sapere quali. “Molte delle policy di Facebook sono vaghe – osserva Nicotra -: ad esempio non conosciamo cosa intendano esattamente per spam. Decidono loro. Per quanto ci riguarda abbiamo ricavato la nostra lista delle pagine da segnalare da Butac.it e Bufale.net e dalla nostra iniziativa cittadina fake-watch.eu dove chiunque può segnalare notizie false. Noi abbiamo riferito la diffusione di fake news che avviene spesso tramite l’utilizzo di account farlocchi. Quello di Facebook non è stato però un focus sui contenuti, ma una violazione delle loro regole“. Non è dato sapere però punto per punto quali non siano state rispettate.

“Noi siamo contro la censura – vuole sottolineare Nicotra -. Anzi, la nostra proposta politica a Facebook è: mostrate sempre il fact checking in corrispondenza di quella che è stata dimostrata essere una fake news. In alcuni paesi, quando viene condivisa una bufala, il social suggerisce all’utente di leggere un articolo – come quelli che troviamo su pagellapolitica – che la smonta. Facebook, che è un’azienda multimiliardaria, può investire di più in questo senso. Visto che dalla viralità trae anche vantaggio“.

Il tema delle bufale online è diventato un nodo imprescindibile della comunicazione e della propaganda degli ultimi anni, come evidenzia anche David Puente ne Il grande inganno di Internet, che mette in luce anche il contagio in ambito politico. Un aspetto che ha toccato anche le segnalazioni di Avaaz sulle quali Facebook ha preso provvedimenti. Ma la mancanza di una comunicazione chiara sul metodo solleva dubbi sulla democraticità delle decisioni del social in chi conosce bene i meccanismi della comunicazione digitale. “Non sottovaluto il fenomeno, ma le regole devono essere chiare – dice Fabio Chiusi, giornalista e ricercatore freelance esperto di disinformazione online -. Ci fidiamo delle segnalazioni di una piattaforma di attivisti e delle decisioni di una società da 40 miliardi di dollari di fatturato? Questa è una questione di democrazia“. Che dovrebbe essere entrare nelle aule parlamentari e non essere competenza di Facebook. Il problema per Chiusi non è dunque nella sostanza, ma nel metodo. Cioè che non sia stata diffusa, insieme alla comunicazione della messa offline delle pagine una nota metodologica, che spieghi come e perché è stata condotta questa selezione.

“Che pagine hanno considerato e perché? Perché fanno propaganda? Fino a prova contraria fare propaganda è lecito, altrimenti dovresti vietare la politica – continua Chiusi -. Se c’erano network di disinformazione che comprendevano fattispecie di reato, come la diffamazione o profili fasulli, allora questo viola la policy di Facebook e ne motiva la rimozione. Insomma, magari è tutto chiaro, ma perché non c’è la nota di studio? Che pagine hanno considerato Avaaz e poi Facebook? Come vogliamo agire? Decide Facebook chi mettere offline? Avaaz solleva un problema che c’è: il rischio della manipolazione del consenso e delle fake news oggi è evidente. Ma il metodo deve essere chiaro, altrimenti si tratta di censura in via preventiva”. Il silenzio sulle motivazioni per Nicotra può essere motivato dall’intenzione del social di “rimanere esterno al dibattito politico, anche perché teme l’intervento di alcuni governi“. Ma la voglia di trasparenza rimane.

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