La politica renziana degli inceneritori facili è in contrasto con la normativa europea.
Lo ha stabilito l’8 maggio la Corte europea di Giustizia, su sollecitazione delle associazioni “Verdi Ambiente e Società” e “Movimento Legge Rifiuti Zero per l’Economia Circolare”, censurando pesantemente il decreto Sblocca Italia del 2014, che prevede una spropositata rete di inceneritori, definiti “insediamenti strategici di preminente interesse nazionale”, sottratta a ogni regola di comune cautela e, in particolare, ad una valutazione ambientale (Vas) degli effetti, da attuarsi prima della loro costruzione (o dell’ampliamento di quelli esistenti).
La Corte europea ricorda, in proposito che la Vas è obbligatoria ogni volta che un piano o un programma, come quello di Renzi, può avere effetti significativi sull’ambiente negli Stati membri “in quanto garantisce che gli effetti dell’attuazione dei piani e dei programmi in questione siano presi in considerazione durante la loro elaborazione e prima della loro adozione”. Anzi, in questi casi, occorre effettuarla il più presto possibile, affinché i suoi risultati possano ancora incidere su eventuali decisioni.
Peraltro – dice la Corte – non è solo questione di tutela della salute e dell’ambiente. Ma anche di democrazia e trasparenza. Infatti, la Vas è necessaria anche “allo scopo di contribuire ad una maggiore trasparenza dell’iter decisionale nonché allo scopo di garantire la completezza e l’affidabilità delle informazioni su cui poggia la valutazione”. E pertanto, in questi casi “occorre stabilire che le autorità responsabili per l’ambiente ed il pubblico siano consultate durante la valutazione dei piani e dei programmi e che vengano fissate scadenze adeguate per consentire un lasso di tempo sufficiente per le consultazioni, compresa la formulazione di pareri”.
Tutti obblighi tranquillamente ignorati dal decreto Sblocca Italia.
Ma c’è un altro punto su cui la Corte europea si pronuncia. Il ricorso, infatti, chiedeva anche di valutare se questo massiccio programma di inceneritori “di preminente interesse nazionale” sia conforme alla gerarchia europea sui rifiuti che mette la costruzione di inceneritori con recupero di energia (i cosiddetti “termovalorizzatori”) non al primo ma al terzo posto, prima dello smaltimento e dopo l’adozione di misure atte a prevenire la formazione di rifiuti, il riutilizzo ed il riciclaggio. Di modo che “si dovrebbe ricorrere all’incenerimento dei rifiuti solo in ultima istanza, quando non è più possibile avvalersi delle tecniche di recupero o di riciclaggio”.
La Corte non contesta questo principio ma non ritiene che la previsione dello Sblocca Italia sia, di per sé, come formulata, in contrasto con questo principio sacrosanto. Osserva, infatti, che, se una normativa nazionale qualifica gli impianti di incenerimento dei rifiuti come “infrastrutture e insediamenti strategici di preminente interesse nazionale”, questo non può automaticamente “significare che le relative operazioni di trattamento siano dotate delle medesime qualità e, di conseguenza, che dette operazioni si vedano attribuire un qualsiasi grado di priorità rispetto alle altre operazioni di prevenzione e gestione dei rifiuti”. Tanto più che “la gerarchia dei rifiuti costituisce un obiettivo che lascia agli Stati membri un margine di discrezionalità”.
Insomma, la valutazione va fatta in modo elastico sull’insieme delle misure adottate o in corso di adozione nei singoli Stati membri, senza soffermarsi solo sugli inceneritori. Affermazione che, in astratto, è certamente corretta, ma nel caso dello Sblocca Italia e della situazione italiana appare, quanto meno avventata, visto che si introduce un programma massiccio di inceneritori, con assoluta priorità rispetto ad ogni altra misura. Superando abbondantemente qualsiasi “margine di discrezionalità”.
In ogni caso – conclude la Corte – occorre sempre tener presente che, in base alla normativa comunitaria, gli Stati membri prendono le misure necessarie per garantire che la gestione dei rifiuti sia effettuata senza danneggiare la salute umana e senza recare pregiudizio all’ambiente, in particolare senza creare rischi per l’acqua, l’aria, il suolo, la flora o la fauna.
Garanzia che appare difficilmente compatibile con una normativa che addirittura, come abbiamo detto, non esita a sottrarsi all’obbligo di una valutazione ambientale preventiva.