Disinformatori online, siti di bufale, meme creati ad hoc per confondere per questioni di marketing. Incluso quello politico. Nelle bufale in rete siamo cascati in tanti, ma non è solo colpa nostra. Dalle interviste tagliate ad arte ai fotomontaggi, dai codici nascosti ai furti di profilo, fino alle vere e proprie catene di siti create apposta per diffondere disinformazione e lucrare sui nostri peggiori impulsi, gli inganni che riempiono la Rete ormai sono gestiti da professionisti. David Puente, giornalista di Open.online specializzato in fact-checking, è un “debunker” di professione, cioè smonta le bufale. E ne “Il grande inganno di Internet” (edito da Solferino e con la prefazione di Enrico Mentana) spiega come difendersi da false notizie e veri complotti. Pubblichiamo qui un estratto del libro.

FALSITÀ E POLITICA

Come nel marketing, anche in politica c’è bisogno di un racconto che faccia presa sul maggior numero possibile di cittadini, per ottenere il loro voto e vincere le elezioni. Da sempre nella comunicazione politica il vero si mescola al verosimile e anche al falso, con informazioni e suggestioni veicolate attraverso le televisioni, la radio e la carta stampata, ma con l’avvento di Internet il tema diventa ancora più complesso. La domanda quindi è: esiste la verità in politica? E, più provocatoriamente, serve ancora a qualcosa? C’è chi sostiene che le bufale e la disinformazione non influenzano le opinioni politiche. Ma se siete dell’idea che una falsità non cambi il parere di una persona, allora perché dovrebbe farlo la verità? In fondo una storia falsa è la verità per qualcuno e viceversa. Mentre mi trovo d’accordo nel dire che una singola bufala non possa cambiare un risultato elettorale, sono piuttosto propenso a ritenere che un continuo martellamento di bufale prima o poi cambi la percezione della realtà delle persone, instillando in loro dubbi e timori che prima erano assenti.

Prendiamo il tema caldo dell’immigrazione. Tralasciando tra le vostre conoscenze coloro che già erano contrari alle migrazioni, quanti tra il 2017 e il 2019 hanno cambiato parere sul tema, passando a una posizione del tipo: «Non sono razzista, ma…»? Secondo me qualcuno sì: io me ne rendo conto sui social quando in certe pagine e post di Facebook noto il «mi piace» di persone «insospettabili» dal punto di vista politico. Le teorie secondo cui la disinformazione non influenza le opinioni politiche dimenticano che per secoli la disinformazione è stata parte delle strategie di mantenimento del potere e controllo dei cittadini, da parte di governo e di regimi. Dimenticano che uno degli uomini più potenti del Terzo Reich era Joseph Goebbels, ministro della Propaganda. Pensate a cosa avrebbe potuto fare con i social, se oggi i contenuti da cui siamo bersagliati sono fastidiosi anche quando sono innocui – come le innumerevoli catene di Sant’Antonio o le bufale sulla privacy di Facebook e l’hacker che vi clona l’account. Ma spesso, purtroppo, innocui non sono affatto, come i meme che «denunciano» l’assunzione con stipendi faraonici di fantomatiche figlie di esponenti politici, come nel caso dell’inesistente Rita Anna Kyenge, spacciata per figlia dell’europarlamentare Cécile Kyenge e interpretata a sua insaputa dalla cantante Rihanna.

“Il grande inganno di Internet”: ecco come difendersi dalle bufale (anche da quelle dei politici)

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