Ci sono degli show fuori dal comune, li riconosci perché aggiungono qualcosa di nuovo al concetto di ‘serie tv’, al concetto di ‘svago’. Questi spettacoli, ci piacciano o no, provocano una reazione e non si può rimanere indifferenti. E’ il caso di Lunatics: sei personaggi interpretati dallo stesso attore/sceneggiatore/regista Chris Lilley, sei differenti storie ma accomunate da un filo conduttore “la realizzazione di sé”. Girata come un ‘falso documentario’ (mockumentary), questa serie tv australiana costata meno di 5 milioni di euro, all’esordio su Netflix da un paio di settimane è già diventata un caso.
La trama: come in un vero e proprio documentario vengono presentati i personaggi tramite interviste, filmati e riprese in tutto e per tutto identiche a qualsiasi reality/documentario tv a cui siamo abituati da qualche anno. E così nelle prime puntate impariamo a conoscere: Gavin McGregor un ragazzino sovrappeso e indolente, che dall’Australia si ritrova a vivere in una contea in Inghilterra come un ‘piccolo lord’, Keith Dick che lavora nella moda e ed è affetto da “oggettofilia” (fa sesso con oggetti inanimati, soprattutto tecnologici), Quentin uno ‘splendido’ trentenne dalle grosse natiche che fa l’agente immobiliare, cocco di mamma e sempre alla ricerca del successo facile, una ex pornostar che si è rifugiata in un mondo abitato da personaggi immaginari e un’immensa collezione di giocattoli, Becky Douglas un’adolescente che si trasferisce al college e che viene bullizzata per il suo aspetto ‘mostruoso’, e infine il personaggio forse più riuscito della serie Jana Melhoopen-Jonks, che ha il dono di riuscire a parlare con gli animali, anzi è una vera analista dei cani e lavora per le star.
E’ stata definita dai critici: disturbante, irritante, insultante, etc.. Le critiche più feroci sono venute dai social. L’accusa principale è quella di aver dato fondo ai peggiori stereotipi sugli australiani, sui gay, sulle lesbische etc… Hanno definito i personaggi eccentrici, vero, magari a prima vista può sembrare effettivamente così ma in realtà Lilley mette in scena l’eccesso per raccontarci la normalità. Ogni personaggio ha un difetto fisico più o meno evidente ma è la loro moralità a “stendere” lo spettatore. Quentin è vanaglorioso, Jana subdola e manipolatrice, Becky non riesce ad accettare la sua diversità, Gavin ‘una faccia da schiaffi’, Keith Dick ha dei comportamenti ‘non accettati ancora dalla società’, l’ex pornostar non riesce a guardare in faccia la realtà. Ogni telespettatore, forse, rivedrà in loro un tratto simile alla propria personalità e sarà un po’ come guardarsi allo specchio, costretti a meditare su se stessi e sulla propria vita, meno eccentrica forse ma ugualmente complicata e controversa. E poi, quando meno te lo aspetti, arriva il lieto fine, quando i personaggi sono a nudo e si mostrano così come sono, senza maschere, senza filtri. E non è forse questa una critica alla società di oggi che insegue glorie, si illude di successi facili soprattutto grazie a un uso malato dei social network?
Lilley ha basato questa serie tv sui suoi precedenti lavori di successo come Summer Heights High (2007) e Angry Boys (2011). Anche se lo show è stato duramente criticato, alla luce del suo successo potrebbe presto prendere corpo una seconda stagione: in un’ultima classifica rilasciata da Netflix, è la sesta serie tv più vista in assoluto.