Non tifo più, me ne vado. Leggi Storia reazionaria del calcio (Marsilio) e pensi davvero che ne varrebbe la pena. Addio calcio. Addio pallone bello. Lo sciopero del tifoso. Anzi l’abbandono definitivo. Massimo Fini, coautore con Giancarlo Padovan, del volumetto a capitoli sul dio Calcio, attende le ultime righe del libro per confessarlo. Non tiferò più. Aggiunta importante: per il Torino. “E visto che non potrò mai tenere per un’altra squadra, lascio anche un calcio che non mi piace più, lontanissimo per metodi, mentalità e anima rispetto a quello della giovinezza“. Troppe le trasformazioni avvenute negli ultimi vent’anni al gioco che sembrava il più bello del mondo. L’illuminista e criticabile infallibilità del(la) Var. La Serie A modello spezzatino ad ogni ora del giorno, per quattro giorni diversi. L’identità di una storia e di un blasone che si spezza ogni fine anno quando il giovane talento viene venduto ad una grande squadra. Fini ha ragione da vendere.
Com’era tutto più coinvolgente e genuino quando non c’era lui: il dio denaro. Reazionario sì, bastion contrario anche, e pure disilluso. La storia non si fa con i se, ma con i fatti. E sbattere così sul muso le decine di modifiche strutturali al calcio tra gli anni novanta e oggi è come osservare il precipizio dove finisce sempre Wile E. Coyote. Il passato era più avvincente del presente, spiegano Fini e Padoan “anche se meno preciso dal punto di vista tecnologico, ma proprio per questo più affascinante perché imprevedibile”. L’elenco delle cose perdute fa venire i lacrimoni. La schedina giocata entro la sera di sabato. L’arbitro vestito rigorosamente di nero. La numerazione delle squadre che vanno in campo (bambini assenti e presenti: il mediano era il 4, lo stopper il 5, il libero il 6 chiaro?). Il calcio interclassista quando “allo stadio ci andavano tutti, e a parte quegli stronzi che stavano in tribuna d’onore, il piccolo e medio imprenditore si trovava accanto ai suoi operai”. Linea di demarcazione temporale gli anni Ottanta.
Addirittura l’avvento in elicottero e valigie piene di milioni (l’affare Lentini, of course) di Silvio Berlusconi. Il gioco che diventa “prodotto” e i tifosi “clienti”. Mettici poi la mazzata del(la) Var. “Proiezione, pur su scala minore, dell’illusione illuminista di poter mettere sotto controllo, di poter illuminare tutto”. Fini lo spiega per benino: oggi i giocatori e i tifosi nemmeno possono più esultare automaticamente per un goal. Bisogna attendere il(la) Var. Per almeno tre quattro minuti. Un po’ come quando nei film programmati in tv sempre B. ci inserì la pubblicità. Non si interrompe un’emozione. Il coito interrotto è roba da masochisti. “Una bestemmia calcistica”. Così quando poi si esulta per davvero lo si fa in una “atmosfera surreale perché in quel momento in campo non sta succedendo nulla, non si sta giocando”. E ancora: cosa dire dei campioncini che finiscono sempre per illuminare qualche mese di una squadra di medio-bassa classifica e poi vanno magari alla Juve? Fini da torinista, e Padovan addirittura da vicentino (“tifare per il Lanerossi, la prima squadra che avesse una sponsorizzazione nella ragione sociale, quando marketing e brand non esistevano nemmeno nel linguaggio anglosassone, significava tifare per il più debole”), segnalano il piacere che si prova al triplice fischio dell’arbitro dopo un soffertissimo 0 a 0 rispetto ad una partita dove hanno “evoluito il miglior Messi, o il miglior Ronaldo”. Come del resto il dispiacere furente quando dal Toro di Cairo, uno coi soldi, è stato mandato via Quagliarella (o Verdi dal Bologna per andare al Napoli, e qui sarebbe da chiedere: a fare cosa?).
Il calcio è una roba che prende alla viscere. Si àncora nella profondità di un misterioso subconscio e non ti lascia più. Nella miscela antica c’è parecchia aggressività maschile sublimata, spiega Fini, e, sempre lui (Padovan non sembra granché d’accordo) sottolinea che la donna (sì la “donna”) dal calcio ne deve rimanere lontana. Tralasciamo le scaramanzie sul tema in casa Fini (la moglie che non può entrare in salotto dove si vede la partita, perché altrimenti la squadra preferita prende gol) per aprire il baule dei ricordi. Storia reazionaria del calcio diventa così un prezioso scrigno di aneddotica nonché, appunto, un utile manuale di storia dello sport per gli under 30. Padovan riannoda i fili delle regole del gioco sventrate e in via di reinvenzione, svela perfino qualche segreto legato alle sue ultime esperienze professionali in terra albanese (Agon Channel che evapora come neve al sole), come la passione per il calcio femminile (è stato allenatore di una grande squadra e convive con una sua ex calciatrice).
Mentre Fini riannoda i fili di un passato personale da calciatore (miope), e da cronista appassionato anche di ciclismo e boxe. Passionaccia, la prima, che l’ha visto tifare sempre per i meno talentuosi, o forse per i più brocchi. Van Steenbergen, Zoetemelk, o perfino il povero Roger Riviere, contrappasso bretone di Anquetil, che nell’estate del 1960 al Tour finì giù per una scarpata rimanendo paralizzato a vita. La cosiddetta “epica” del ciclismo predoping, che sembrava tanto simile a quella del calcio pioneristico, con la differenza che quest’ultimo si poteva “vedere” dal vivo allo stadio, mentre i ciclisti sfrecciavano rapidi sulla strada davanti al naso che nemmeno ne distinguevi la sagoma. Infine la boxe, altra epica narrativa che nel racconto di Fini sembra più un film di Monicelli. Con tanto di racconto in cui in pieni anni Sessanta in un teatro/palazzo dello sport gremito a Milano si poteva persino sostituire un pugile nero americano che aveva perso l’aereo con un inserviente della palestra di pugilato lì di fianco ridipinto di nero con il lucido e abbattuto con un pugno vero del vero pugile avversario al rumoreggiare del pubblico che aveva capito il bluff solo al terzo round. Finzione superba che fa il paio con il granata Maspero che in un derby, davanti al solito rigorino per la Juventus a fine gara, scava una buchetta davanti al dischetto che farà sbagliare Salas. Ma oggi con il(la) Var chi mai potrebbe più farlo?