Aumento del bonus bebè (da 80 a 110 euro al mese per un anno) e detrazione al 19 per cento delle spese per i prodotti della prima infanzia, dal latte ai pannolini, fino a un tetto di 1.800 euro. Non è il decreto annunciato da Luigi Di Maio, ma il contenuto di due emendamenti proposti dalla Lega e dal ministro della Famiglia Lorenzo Fontana. I fondi, proprio come aveva ipotizzato nei giorni scorsi il vicepremier M5s, saranno ricavati dai risparmi del reddito di cittadinanza (51 milioni nel 2019, 315 milioni nel 2020 e 300 milioni nel 2021 per il bonus bebè e 288 milioni nel 2020 e 464 nel 2021 per gli sgravi fiscali). Al momento non è chiaro se si tratta di un’azione concordata nel governo oppure un tentativo del Carroccio di cavalcare la proposta 5 stelle. In serata però fonti M5s hanno lasciato trapelare forti malumori per la presa di posizione: “Oggi il ministro Fontana ha presentato un pacchetto di proposte tale e quale a quello presentato una settimana fa da Luigi Di Maio. Salvini lo ha sostenuto oggi ma una settimana fa è rimasto in silenzio. Oggi gli sentiamo dire che l’Italia deve riprendere il modello francese sulla famiglia. Ma Salvini ha delle sue proposte o copia solo quelle di Di Maio?”.
Intanto oggi l’Aula della Camera ha bocciato l’emendamento del Pd alla proposta di legge sulle Semplificazioni fiscali, sottoscritto dalle opposizioni, che prevedeva di abbassare l’Iva sugli assorbenti al 5%. Dai calcoli della Ragioneria il costo è di “212 milioni” per portare l’Iva dal 22% al 10% e di oltre “300 milioni” per portarla al 5 per cento ha detto la presidente della commissione Bilancio, Carla Ruocco, relatrice del testo, confermando il parere negativo. Proteste delle opposizioni dopo il voto. Una proposta simile era stata già stralciata dalla scorsa legge di Bilancio a dicembre scorso.
Per il bonus bebè oltre all’importo dell’assegno si aumenta la soglia Isee a 35mila euro, raddoppiando la platea, secondo quanto si legge nella relazione che accompagna l’emendamento. La struttura dell’assegno rimane quella proposta in manovra, con un aumento del 20% dal secondo figlio in poi (che sale quindi a 132 euro) e un ulteriore aumento a 192 euro al mese in caso di Isee sotto i 7mila euro. E’ prevista comunque una “clausola di salvaguardia” con rimodulazione dell’assegno se le risorse non dovessero essere sufficienti. Il primo a esultare è stato Matteo Salvini: “Bravo ministro Fontana sulla famiglia, finalmente risposte concrete. Domani annunceremo, come Lega, un altro impegno che manterremo entro l’anno per tanti italiani in difficoltà”.
Protesta il Partito democratico, secondo cui il pacchetto da 51 milioni di euro per l’anno 2019 è insufficiente. “Il presunto pacchetto famiglia di cui parlano Salvini e il ministro Fontana in queste ore”, ha scritto su Facebook il deputato Pd Ubaldo Pagano, “è solo una bufala elettorale lanciata a una settimana dal voto per prendere in giro la buona fede dei cittadini: si tratta di 51 milioni di euro per l’anno 2019. Pochi euro che serviranno a poco, anzi a nulla. I fondi promessi per i prossimi anni a partire dal 2020 saranno sottratti al reddito di cittadinanza, quindi sono scritti sulla sabbia: con la prossima legge di Bilancio, che deve recuperare almeno 30 miliardi, rischia di saltare l’intero reddito di cittadinanza, quindi anche queste poche decine di milioni di sgravi e contributi”.
La vicepresidente della Camera di Forza Italia Mara Carfagna ha invece chiesto che si faccia di più: “Alla fine il governo si è reso conto che esistono madri che lavorano”, ha detto. “Riteniamo che si possa e si debba fare di più e presenteremo un emendamento al decreto Crescita che prevede un semplice assegno universale per le mamme lavoratrici, inteso come sostitutivo di tutti i bonus frammentari oggi esistenti (bebè, asilo nido, etc). Sarà erogato nella forma di sussidio alle spese certificate relative all’asilo nido o alla baby sitter, per un massimo di 600 euro al mese per madre, fino ai 3 anni di vita del bambino. E’ una misura per liberare tante, troppe donne, dalla trappola che le porta a dover scegliere tra lavoro e maternità e per consentire a tutte di pronunciare il doppio sì, ai figli e alla carriera”.