I promossi - 4/4
– Fermi tutti, rullo di tamburi, ecco a voi la sorpresa del disco: doppia stading ovation mortale carpiata per Willie Peyote. Il rapper torinese dimostra che fare scelte sensate e lavorare con intelligenza paga. E chi se ne frega se il testo di Faber viene stravolto. Ebbene sì, l’ho detto, da purista quale sono. Willie Peyote riscrive, in pratica da cima a fondo, Il bombarolo. E lo fa riconsegnandoci l’impiegato-rivoluzionario 46 anni dopo. Con una storia girata oggi, tra un’impresa che fallisce e un padre suicida, una banca che “in sei mesi gli ha pignorato una vita di sacrifici, di sangue, di fatica” e un giovane che viene licenziato perché la sua azienda ha delocalizzato. Rimangono intatte poche strofe e il finale è il medesimo di quello del 1973. Cantiamo De André, dunque. E riscriviamolo (cito, a tal proposito, l’esperimento letterario di Deandreide, in cui 14 scrittori si cimentarono in altrettanti racconti lasciandosi ispirare dai soggetti del cantautore genovese).
– Abituato a esprimersi, in studio e sul palco, in inglese, The Leading Guy, alias Simone Zampieri, dimostra di sapersela cavare alla grande (anche) con l’italiano. Di Se ti tagliassero a pezzetti riesce a mantenere intatto il significato più profondo, quello dell’idea – o ideologia – che si spezza col tempo e si trasforma in grigio surrogato di se stessa. E lo fa, per gradire, con un adattamento musicale molto piacevole.
– Pezzo delicato quello di Cantico dei drogati, soprattutto per via del testo legato agli stupefacenti e alle tossicodipendenze, ma che Alessio Dari, in arte Artù, affronta con una capacità musicale e interpretativa non comune. De André visse questa canzone come una sorta di liberazione personale. Lui, così dipendente dall’alcol. E Artù quella liberazione mista alla sofferenza di chi domanda “Tu che m’ascolti insegnami/un alfabeto che sia/differente da quello/della mia vigliaccheria” la trasmette. Bravo.
– La svogliatezza interpretativa e la monotonia degli arrangiamenti di Federico Cimini e de Lo Stato sociale, sorpresa, si adattano perfettamente a Canzone per l’estate. Lo ammetto, la loro cover non mi piace (de gustibus). Però risultano credibili nel raccontare vecchi idealisti – o ex proletari – che si sono imborghesiti/arricchiti e che si domandano, tra uno sbadiglio e l’altro: “Com’è che non riesci più a volare?“.