7. Su quest’ultimo fronte, non trascurerei il ruolo svolto da periodici in apparenza “innocenti” – come alcuni (non tutti) di quelli popolari dedicati a gossip e cronaca rosa: più o meno tra le righe, spesso propinano – “innocentemente” – il peggio dei pregiudizi in voga. Guarda caso, l’editoria popolare è uno dei settori meno colpiti dalla crisi e con più lettori.
8. In questo contesto, il giornalismo vero è in via di estinzione. Un’estinzione accelerata, in Italia e non solo, dall’atteggiamento della politica, che anche oggi – come e forse più che ai vecchi tempi – si distingue per la lottizzazione dell’informazione pubblica. Si aggiunge un attacco nei confronti dei giornalisti e dei media non omologati (non a caso l’Italia è citata negativamente nelle indagini sulla libertà di stampa).
9. Durante quasi 40 anni di lavoro, ho imparato (e alcuni vecchi amici e colleghi mi hanno insegnato) che le principali doti del giornalista sono la passione per il proprio lavoro, l’autonomia intellettuale, la voglia di lavorare, la convinzione che nulla ti è dovuto e tutto dev’essere conquistato, lo spirito di gruppo, la capacità di rendere sempre comprensibili realtà complicate. Significa difendere la propria autonomia anche dal datore di lavoro, saper ascoltare e riferire, stabilire una gerarchia di valori civili imprescindibili, avvicinarsi all’obiettività coniugando libertà e responsabilità. Ciò non deve portare a trasformarsi in arroganti o saccenti, che pontificano su tutto. Ma bisogna avere la capacità di restare liberi ed essere disposti a pagarne il prezzo.
10. Di sicuro non ci sono master, scuole o corsi universitari di giornalismo che insegnino come tenere la schiena dritta a chi è disposto alla riverenza e alla sudditanza.