Non se ne sente parlare molto, ma l’inquinamento da metilmercurio nel pesce che mangiamo è un problema molto serio. Finalmente un libro offre nuova consapevolezza: si chiama Rischio mercurio edito per i tipi di Tarka. Lo ha scritto Roberto Miniero, un epidemiologo che lavora al Dipartimento Ambiente e Salute dell’Istituto Superiore di Sanità. L’autore è un addetto ai lavori, una persona scrupolosa, che ha voluto mettere a frutto la sua esperienza affinché i consumatori conoscano i rischi legati al metilmercurio, perché su questo tema si sa troppo poco.
Mi ha raccontato di aver avuto l’idea di scrivere dopo aver letto il mio Com’è profondo il mare (ed. Chiarelettere) dove tratto del problema a partire dal disastro di Minamata in Giappone, ma Miniero è andato oltre il racconto: ha messo giù dati, consigli, analizzato la soglia di rischio a cui ciascuno di noi si espone mangiando pesce. Il suo non è un grido di allarme, ma un regalo di consapevolezza, in un Paese che su questo tema fa poco o nulla per informare i suoi cittadini. Eppure basterebbe mutuare le esperienze di altri Paesi dove la parolina magica è prevenzione.
Ad esempio, in Spagna il Grupo de Estudio para la Prevención de la Exposición al Me-Hg o Geprem-Hg si è riunito nel 2015 per lavorare sul problema. Questo gruppo, costituito da rappresentanti di molte società scientifiche spagnole nei campi della salute ambientale, medicina clinica, endocrinologia, nutrizione, educazione alimentare, ipertensione, sanità pubblica, epidemiologia e ginecologia, ha preparato nello stesso anno tre documenti tecnici e un documento di consenso. Quest’ultimo documento è stato pubblicato in spagnolo (successivamente anche in inglese) e include le principali raccomandazioni, identifica le carenze di informazione e suggerisce gli studi ulteriori di carattere sanitario che dovrebbero essere fatti per evidenziare effetti di tipo neurologico e cardiologico nella popolazione spagnola. Colpisce che sia stato scritto in maniera assolutamente comprensibile a tutti, sotto forma di domanda e risposta come ad esempio “Può il metilmercurio essere eliminato pulendo o cucinando il pesce?”.
Un altro esempio positivo sono gli Stati Uniti, dove nel 2010 è stato affrontato il problema con l’inserimento di raccomandazioni riguardanti l’impatto cardiovascolare del metilmercurio nella valutazione ufficiale degli effetti che devono essere presi in considerazione per le future regolamentazioni sul mercurio. Il gruppo di esperti invitato dall’Agenzia di Protezione Ambientale Statunitense includeva epidemiologi, clinici, tossicologi e biostatistici. Questa relazione – tra esposizione al metilmercurio e effetti cardiologici – è stata trovata, anche se si necessiterebbero alcuni studi prospettici per chiarire i buchi di informazione.
Riunire una commissione di esperti anche da noi sarebbe un primo passo, avrebbe il pregio di fare il punto della situazione, individuare il grado di accuratezza delle informazioni presenti, individuare le loro carenze e formulare delle soluzioni in termini di management del problema. E di farlo molto più rapidamente e a costi molto più contenuti rispetto ai progetti. A livello di organizzazione sarebbe facile, basterebbe fare le cose così come sono state già organizzate da altri. Inoltre, la cosa di per sé non esclude un’attività sperimentale che però potrebbe essere mirata: per esempio, assodato che esistano gruppi di popolazione più esposti al metilmercurio, li si avvicina e a livello di counseling gli si suggerisce che in periodi critici il consumo di pesce deve basarsi su specie di piccole dimensioni. E li si assiste durante il periodo critico. Anche questo non è nuovo: un intervento di sanità pubblica di questo tipo è stato fatto in Danimarca e ha avuto successo. E da noi?