Società

Leonardo da Vinci è di tutti, pure dei francesi

“Ogni scrittore crea i propri precursori. La sua opera cambia la nostra concezione del passato nello stesso modo in cui cambia il futuro”, così scrisse Jorge Luis Borges in Kafka e i suoi precursori, uno dei saggi raccolti in Otras inquisiciones, pubblicata nel 1952 e tradotta in italiano dieci anni dopo (Altre Inquisizioni, Feltrinelli, 1963). Una delle letture giovanili che ricordo con più emozione.

Non c’è personaggio storico che vesta bene i panni del precursore come Leonardo da Vinci, la cui morte cadeva 500 anni or sono. E per questo viene ricordato da iniziative di ogni tipo non solo in Italia e Francia, ma anche nel resto del mondo. Media e studiosi, gente comune e dignitari, laici e religiosi, tutti sono curiosi di scoprire qualcosa di nuovo e diverso sul genio toscano che contribuì a traghettare l’Europa dall’umanesimo al Rinascimento più di ogni altro. Soprattutto, a favore, immagine e somiglianza delle proprie tesi.

Per i francesi, Leonardo è uno dei loro, una vera e propria gloria nazionale, anche se l’artista fuggì da Milano nel 1499 proprio per evitare un incontro ravvicinato con i francesi di Luigi XII, protesi nella conquista della città. Vi ritornò solo nel 1508 al servizio del governatore francese e visse in Francia, chiamato del nuovo re Francesco I, solo gli ultimi due anni della sua vita, dal maggio 1517 alla morte in Amboise, 2 maggio 2019. I francesi sono convinti che la gloriosa cavalcata scientifica di cui furono protagonisti nel XVIII secolo abbia in Leonardo da Vinci l’ispiratore: “un faro che illumina con i suoi raggi, proiettati verso il futuro, i primi passi della nostra arte e scienza moderna”, scrisse l’idrologo agrario Antoine Ronna alla fine del XIX secolo. In fondo, la Gioconda è cosa loro, per di più legittimamente acquisita e non rapinata come altri capolavori.

Per i milanesi, Leonardo è soprattutto un genio lombardo, avendo lavorato buona parte della sua vita da quelle parti, quasi un quarto di secolo in tutto. In Veneto, Emilia, Lazio e Romagna, Leonardo è uno dei loro, perché anche lì lasciò segni importanti. Perfino la Liguria reclama l’invenzione del filo di ferro durante un soggiorno lampo a Genova in compagnia di Lodovico il Moro. E, per la Toscana, esigerne la proprietà è ovvio e doveroso. Pochi grandi personaggi sono, al pari di Leonardo, patrimonio del mondo allora conosciuto e trasmessi al resto dell’umanità come eredità collettiva, se la Davinci miter lock si chiama così perfino dove avevano forse inventato quella chiusa parecchi secoli prima.

Invero, Leonardo è stato un precursore per ogni architetto, pittore, scultore, scenografo, anatomista, botanico, musicista, geologo, paleontologo, fisico, nonché ingegnere idraulico, strutturale, meccanico, aerospaziale, militare. A questa eterna attualità contribuisce la geniale intuizione di non lasciare ai posteri alcun trattato, ma soltanto una miriade di appunti pressoché criptati; da decifrare, interpretare, chiosare, volgarizzare. Nelle sue note, ogni scienziato, artista o inventore scova facilmente lo spunto da cui possono trovare ispirazione le proprie scoperte. Lo fa enucleando le frasi e gli schizzi che meglio si adattano al proprio pensiero e ai propri obiettivi, così che per l’imprenditore Leonardo diventa archetipo della libera impresa. E, se la moda dei tempi glorifica i grandi chef più o meno stellati, a 500 anni dalla sua morte Leonardo si adatta bene perfino a precorrere la ristorazione dei nostri giorni, soprattutto se autarchica, ancorché precolombiana.

Leonardo da Vinci è un precursore globale per tutti coloro che sostengono, come chi scrive, la transdisciplinarità quale futura via del sapere, indispensabile al progresso della conoscenza, ormai irrigidita dal riduzionismo degli ultimi due secoli. Ma anche quando si tratta di confutare le congetture leonardesche in settori disciplinari molto stretti, egli è un modello perfetto di antitesi, come accade per chi ha proposto di recente una nuova spiegazione fisica del salto di Bidone: neppure Leonardo se ne era accorto! E perfino chi prefigura la fine del mondo, magari come conseguenza dei cambiamenti climatici, sulla scia fantascientifica di Waterworld, trova una sponda: “Perpetui son li bassi lochi del fondo del mare, e il contrario son le cime de’ monti; séguita che la terra si farà sperica e tutta coperta dall’acque, e sarà inhabitabile”. Manoscritto F, Foglio 52v, custodito a Parigi presso l’Institut de France, ivi pervenuto grazie alla spoliazione della Biblioteca Ambrosiana condotta dal commissario di guerra Peignon nel 1796, su ordine di Napoleone Bonaparte.