I due leader della maggioranza non si parlano da dieci giorni e si lanciano messaggi a distanza. "Troppa sintonia col Pd" accusa il segretario leghista. "Si è tolto la felpa e difende la casta" replica il capo M5s. E scoppia un nuovo caso sui mercati finanziari: "Superiamo il 3%", "Irresponsabile". E il sottosegretario evoca per la prima volta le elezioni anticipate: "Noi siamo pronti"
Il gioco del ping pong prosegue, quasi estenuante. I due partiti di maggioranza si dividono a ogni curva, a ogni dichiarazione in agenzia, a ogni comizio, su ogni dossier. L’ultimo giro di accuse incrociate vede Matteo Salvini additare i Cinquestelle di “troppa sintonia” con il Pd e Luigi Di Maio rispondere al leader della Lega di non riconoscerlo più: “Si è tolto la felpa e ora difende la casta“. Anzi, di mezzo ora c’è pure lo spread (che oggi ha superato quota 280): di nuovo, il capo del Carroccio butta lì che si può superare il 3 per cento di rapporto tra deficit e Pil, ma anche il 130-140 per cento di debito; e quello del M5s che lo invita ad abbassare i toni usandone di inediti, utilizzando proprio l’argomento del “rischio dei mercati”: “Mi sembra abbastanza irresponsabile far aumentare lo spread in quel modo, come sta accadendo in queste ore, parlando dello sforamento del rapporto debito-Pil, che è ancor più preoccupante dello sforamento del rappoorto deficit-Pil. Questo è un Paese che ha 300 miliardi di evasione fiscale, un paese che ha grandi evasori da cui poter recuperare un sacco di risorse…”. Più chiaramente: “Prima di spararle sul debito-Pil mettiamoci a tagliare tutto quello che non è stato tagliato in questi anni di grande evasione, di spending review da un punto di vista strutturale anche degli enti locali che sprecano molto”.
Così, mentre la maggioranza parlamentare approva in via definitiva la riforma del voto di scambio e lo Sblocca-cantieri è incardinato ma ha di fronte oltre 1200 emendamenti (l’ok finale è rinviato a dopo le Europee), la ruota della campagna elettorale dei due leader continua a girare in direzione 26 maggio: i temi si rincorrono, dalla flat tax agli sgravi per le auto aziendali (Lega), dalle misure per la famiglia (con il M5s che accusa di plagio il ministro Lorenzo Fontana) al decreto Calabria della ministra della Salute Giulia Grillo. Resta solo da capire se c’è un modo per scoprire le loro carte: è una strategia per lasciare fuori dalla cornice le opposizioni, ormai diventate mini nel dibattito pubblico, oppure le fratture ci sono eppure dolorose?
A far pendere da una parte il barometro sono le parole del sottosegretario alla presidenza del Consiglio Giancarlo Giorgetti, conosciuto per la misura con cui usa le parole. E’ vero che è lui tra i primi ad essere arrivato al limite della pazienza con il M5s, gli chiede Bruno Vespa a Porta a Porta? “Non è che non è vero, certo è difficile e complicato. Alla fine uno è esausto e si lascia andare a questi stati d’animo”. “Questo stato” di conflittualità fra i due partiti “se continua dopo il 26 maggio è insostenibile – ha spiegato – ma sono convinto che dopo ci sarà un altro indirizzo per la convivenza e un altro metro di lavoro”. Tuttavia Giorgetti conferma che “Salvini e Di Maio non si parlano, si mandano i tweet e le raccomandate, ma si dovranno vedere lunedì in cdm. Sul tavolo ci saranno le nomine che sono in scadenza, poi il dl Sicurezza, che verrà discusso domani”. Fonti della Lega confermano che Salvini non sente Di Maio e il presidente del Consiglio Giuseppe Conte da dieci giorni, cioè dall’ultimo consiglio dei ministri sul caso del sottosegretario Armando Siri, “dimissionato” dal capo del governo. Conte ostenta tranquillità, partecipa a convegni, si sfila dalla campagna elettorale e dai suoi toni altissimi. E per il momento le sue capacità di mediatore tra i due vicepremier sono in stand-by. “Il governo lavora in piena sintonia – afferma – per realizzare progetti strategici, raggiungendo traguardi significativi per il rilancio del Sud”. E’ il Nord che invoca autonomia a sentirsi tradito, ribatte la Lega.
Nel merito del consiglio dei ministri, invece, Di Maio replica che all’ordine del giorno non ci saranno né flat tax né Autonomie e il decreto Sicurezza bis “lo devo leggere”. “Sto chiedendo da un mese un vertice di governo – incalza Di Maio – ma dopo la richiesta di dimissioni di Siri il capo della Lega l’ha presa sul personale”. Il capo M5s, anzi, gira la questione: “Se si va a rilento la Lega lo chieda a se stessa. Sono offesi per il caso Siri? Io lo rifarei altre cento volte”. “Non credo” che il Carroccio stia lavorando a far cadere l’esecutivo, “anche perché questo è l’unico governo possibile”. “Non credo nella malafede della Lega, non credo che in questo momento voglia far cadere il governo e mi auguro che la stessa fiducia si possa nutrire in noi da parte loro. Sono fiducioso che dopo il 26 maggio le cose si tranquillizzeranno”. Sembrano le stesse parole di Giorgetti. Tutto si ricomporrà, assicura. Ma a domanda sul voto a settembre risponde: “Sempre pronti”.