Una richiesta di rinvio a giudizio per detenzione di droga ai fini di spaccio arrivata a cinque anni dalla perquisizione. Che – secondo la difesa – ebbe esito negativo. È quello che ha chiesto la procura di Roma per Riccardo Casamassima, il carabiniere diventato testimone-chiave del processo sulla morte di Stefano Cucchi, con l’accusa di detenzione di droga ai fini di spaccio. Il prossimo 21 maggio il militare si costituirà parte civile nel procedimento aperto sui depistaggi organizzati dai suoi stessi colleghi per insabbiare il caso Cucchi.
Intanto arriva la richiesta di processo firmata dal pm Giuseppe Bianco che coinvolge altre quattro persone, tra cui la compagna di Casamassima, anche lei carabiniere e testimone del caso Cucchi, Maria Rosati. Secondo quanto si legge nel capo d’imputazione, Casamassima e la compagna, “in concorso tra loro, detenevano nella loro casa a Roma quantitativi non determinati di sostanza stupefacente di tipo cocaina“.
“Ma nessuna sostanza stupefacente è stata trovata nella casa di Riccardo Casamassima o della sua compagna. La perquisizione domiciliare del 2014 ebbe esito negativo. Questo rinvio a giudizio è un attacco strategico e un’intimidazione per screditare Casamassima, teste chiave al processo Cucchi”, dice l’avvocato Serena Gasperini, legale del militare. “Non è la prima volta che vengono fatti dei tentativi per delegittimarmi. Mi aspettavo mi potessero fare qualcosa, certo non mi aspettavo una cosa del genere. In queste ore stanno dando delle informazioni totalmente false e sbagliate”, commenta invece Casamassima. Che poi ripercorre la storia dell’inchiesta. “Mi è stata fatta una perquisizione nel 2014 a casa, dalla squadra mobile, dal reparto operativo dei Carabinieri, inerente uno dei procedimenti penali a mio carico che non c’entrano niente con la droga. Non mi è stata trovata droga né elementi riconducibili allo spaccio. Ci sono state dichiarazioni di una persona che ha affermato questo. Non c’è riscontro”.
L’inchiesta nasce più di cinque anni fa a Viterbo ai tempi in cui Casamassima indagava sullo spaccio di droga. Da alcune intercettazioni sarebbe emerso l’ipotetico coinvolgimento del militare. Scattò la perquisizione nell’abitazione di Casamassima. “Che però, ripete l’avvocato, ha avuto esito negativo come si vede dal verbale”, ripete l’avvocato. “Questa storia – dice invece il carabiniere – potrebbe essere legata a una cosa ritorsiva. Ma stiamo abbastanza tranquilli perché non è la prima volta”.
A sottolineare lo strano concatenamento di date è l’avvocato Gasperini. “L’episodio della richiesta di rinvio a giudizio è devastante perché si colloca in un periodo importante, visto che il prossimo 21 maggio Casamassima si costituirà nel processo dove ci sono carabinieri e ufficiali imputati nell’inchiesta sui depistaggi. Per quel giorno, infatti, è prevista l’udienza preliminare”. “È insolito – ha aggiunto il legale – che le indagini in cui ora è indagato Casamassima siano state svolte da colleghi dell’Arma. Quando è indagato un carabiniere in genere interviene la polizia e viceversa, per garantire una sorta di ‘distanza’.
Casamassima è il carabiniere che nel 2016 ha fatto riaprire il caso di Stefano Cucchi con le sue dichiarazioni su quanto aveva appreso da alcuni colleghi. Informazioni imporanti sul pestaggio subito in caserma dal geometra 31enne la notte del suo arresto, quella tra il 15 e il 16 ottobre del 2009. Cucchi morì sei giorni dopo quel pestaggio all’ospedale Sandro Pertini di Roma: con le sue dichiarazioni, Casamassima ha ribadito le accuse ai suoi colleghi nel processo per omicidio preterintenzionale che si sta celebrando in Corte d’Assise. Ha poi denunciato di esser stato demansionato con anche una riduzione dello stipendio per la collaborazione fornita ai magistrati.