Chiamavano “mozzarelle” le tangenti che davano ai magistrati per ottenere sentenze favorevoli nei procedimenti tributari nei loro confronti. A Salerno, 14 persone, tra cui due giudici, sono state arrestate con l’accusa, in concorso e a vario titolo, di corruzione in atti giudiziari. Secondo il pm Elena Guarino e il procuratore aggiunto Luigi Alberto Cannavale, almeno dieci procedimenti sarebbero stati condizionati in questo modo, per un danno erariale di circa 15 milioni di euro.
Nell’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal gip del Tribunale di Salerno Piero Indinnimeo, da quanto scrive Repubblica,ci sono due giudici della Commissione tributaria regionale della Campania, Fernando Spanò e Giuseppe De Camillis, due dipendenti amministrativi, sei imprenditori e quattro commercialisti. Coinvolto anche un avvocato. Gli indagati avrebbero messo in piedi un sistema in cui gli imprenditori corrompevano i giudici per manipolare gli esiti degli accertamenti fiscali contro di loro messi in piedi dall’Agenzia delle entrate e dalla Guardia di finanza. La corruzione, spiega Cannavale “era duplice, per condizionare sia l’iter procedimentale sia l’esito della causa”.
Gli atti inquinati dai giudici corrotti hanno favorito gli imprenditori in diversi modi: azzeramento di somme dovute al fisco, evasione d’imposta, interessi maturati, sanzioni comminate. Soltanto una delle aziende, una società di Siano, ha risparmiato 8 milioni di euro grazie all’annullamento del proprio debito. A un’altra società di Salerno è stato fatto uno “sconto” di 1 milione di euro. Il danno complessivo stimato per le casse pubbliche è di 15 milioni di euro. Secondo gli inquirenti, le mazzette andavano da 5 mila a 30 mila euro. Nel corso del blitz, a uno dei due dipendenti della Commissione tributaria sono stati sequestrati 50mila euro in contanti. Gli indagati parlavano in codice e scambiavano il denaro in contanti quasi sempre il giorno prima della decisione. Un video ha documentato uno degli scambi all’interno di un ascensore.
I ricorsi tributari presentati dagli imprenditori che poi hanno corrotto giudici e dipendenti erano stati quasi tutti respinti in primo grado dalla Commissione Tributaria. I giudici indagati facevano invece parte dell’organo di controllo giurisdizionale di secondo grado che, ha spiegato il procuratore vicario, Luca Masini, “ha il dovere di verificare la fondatezza o l’infondatezza delle lamentele del contribuente sottoposto all’accertamento e quindi di mettere la parola fine. Attraverso il sistema corruttivo venivano pilotati gli iter procedimentali e prima ancora l’assegnazione delle cause e dei ricorsi ai due magistrati che si presume possano essere corrotti. L’esito favorevole per i contribuenti ribaltava la decisione assunta in primo grado”.
Secondo le indagini, “uno dei giudici coinvolti era famoso per avere fame di soldi: avrebbe dovuto sottoporsi ad un intervento chirurgico ma lo ha rimandato pur di presentarsi puntuale a una delle udienze della Commissione Tributaria”. Un’altra volta, uno degli indagati si sarebbe lamentato dei 30 mila euro dategli da un imprenditore, considerandoli troppo pochi per il servizio richiesto e ha preteso un’integrazione. Non solo denaro, comunque, ma anche l’utilizzo di appartamenti a titolo gratuito e, in un’occasione, l’assunzione del figlio di uno dei giudici. “L’indagine è la punta di un iceberg – ha spiegato il procuratore Masini – tant’è che la Procura ha dovuto immediatamente concludere le indagini, perché le fattispecie corruttive erano via via programmate quotidianamente. I ricorsi che abbiamo accertato avevano un sistema che prevedeva la selezione di alcuni casi da parte dei dipendenti, sulla base di alcune persone che conoscevano. Poi veniva fatta la proposta per ottenere una sentenza favorevole, attraverso la corruzione”.