E le Politiche, certo. E le Europee, perché lì vota chi è davvero convinto. E le Regionali, grande Risiko di chi controlla il Paese. E le Amministrative, col contatto diretto con la gente e le alleanze che a Roma è tutto l’opposto. E poi le Regionali “importanti”, o le “Amministrative” pesanti, quando alle urne ci vanno le zone che spostano. E i referendum, ogni tanto, che la politica spinge tutta al sì o tutta al no perché è prezioso capire quanto si riesce a influenzare un’opinione.
Italia, Paese di santi, poeti ed elettori. Continuamente strattonati da governanti, oppositori, amici di amici in cerca di un consenso vitale, per loro. E non è demagogia, è stanchezza.

Un incessante, assillante bombardamento di slogan, di volantini, di promesse: ma questo non è l’unico problema e nemmeno il principale. Il fatto grave semmai è l’incertezza costante di una Nazione intera, incapace di programmare, di guardare più in là della primavera, di infischiarsene del consenso per fare ciò che è giusto e ciò che serve. Instabilità politica come un virus che paralizza tutto: e se cade il governo? E se cambia la legge? E “se aspettassimo un poco per non turbare i sondaggi”? Sondaggi in cui sperare senza crederci davvero, a cui non credere sperando che non sia vero: più che indicare gli indirizzi del Paese, lo indirizzano direttamente. Per far prima.

Una soluzione, volendo, ci sarebbe: accorpare le elezioni. La Fondazione Astrid – Analisi, Studi e Ricerche sulla Riforma delle Istituzioni Democratiche e sulla innovazione nelle amministrazioni pubbliche – ha messo nero su bianco la proposta di un “election year” già nel 2006. Anzi, ne ha messe giù più d’una: a tre tornate, a due tornate, a due tornate mobili; con quest’ultima più corposa negli effetti e concreta nell’attuazione.

Funzionerebbe più o meno così, senza voler entrare troppo nei dettagli esposti nel documento disponibile online: dopo una fase di allineamento, con mandati che terminano prima della naturale scadenza per permettere al sistema di partire, via a due tornate elettorali per quinquennio; “europea-amministrativa” e “politico-regionale”.

La prima sarebbe dettata dall’Europa, con data unica per tutti i Paesi membri a cui l’Italia aggancerebbe le votazioni nei Comuni; la seconda avrebbe una propria data ben ponderata e distante dalla prima tornata, in cui accorpare elezioni Regionali e Nazionali. E in caso di scioglimenti? Commissariamenti e spostamenti alla prima tornata utile delle due previste ridurrebbero di molto il rischio di elezioni anticipate. In questi casi si potrebbe intervenire anche sulle lunghezze dei mandati per far sì che, poggiandosi su un turno o sull’altro, così da anticipare o allungare di poco le durate naturali, si possa ogni volta riallineare il sistema.

Non mancano, certo, le difficoltà: curare gli aspetti costituzionali, spiegare agli elettori come sia possibile che quei due partiti che a Roma si urlano veleno corrano invece a braccetto verso il Municipio. Ah, e poi serve farlo digerire ai partiti, che di elezioni sembrano nutrirsi; interessati al voto più che al governo, come dongiovanni a caccia di ammiccamenti più che d’amore.
I vantaggi avrebbero invece i caratteri della Nazione seria, affidabile, pratica: assicurare al governo un periodo di lavoro stabile, permettere ai ministri di stare in ufficio anziché sui palchi, ridurre i costi per le consultazioni, aumentare la partecipazione ai referendum che potrebbero essere accorpati alle due turnazioni, contenere la sfiducia dei cittadini verso la politica.

Per quello, a dirla tutta, servirebbe anche una legge elettorale obiettiva; argomento puntualmente sparito dal dibattito politico. Affinché “sotto elezione” non voglia dire “sotto scacco”.

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