Cinema

Cannes 2019, i retroscena e gli aneddoti del Festival svelati in un libro-diario del direttore artistico Thierry Frémaux

59 anni tra pochi giorni, Fremaux che si autocelebra è un mescolarsi continuo tra (pochissime) considerazioni extracinematografiche che riguardano anche solo il cielo scorto dalla finestra e le (tantissime) puntualizzazioni sui rapporti con le star che, guarda caso, spesso lo disturbano telefonicamente

di Davide Turrini

Volete sapere come si organizza il Festival di Cannes? Andate in libreria e acquistate Cannes Confidential (Donzelli Editore) un volume enorme, diario giorno per giorno, per dodici mesi, dell’attuale delegato generale Thierry Frémaux. L’anno di grazia, e preparazione, è quello a cavallo tra la fine del festival 2015 e l’inizio dell’edizione successiva. Gli appunti sparsi sono la tessitura millimetrica delle esperienze cinefile di uno dei cinefili probabilmente più fortunati al mondo. Direttore dall’Institut Lumière di Lione dal 1999 dopo che dieci anni prima vi era entrato facendo volontariato, Frémaux rifiuta l’anno dopo la dirigenza della storica Cinémathèque Français a Parigi, e rimane nel caldo sud della Francia quando nel 2001 succede allo storico delegato generale di Cannes, Gilles Jacob. Dopo una quindicina d’anni di Palme d’Oro e di montée des marches è il turno del suo journal intime. Io, io, io, io… Chiaro, i luoghi comuni non nascono dal nulla. E lo sciovinismo francese quando incontra la megalomania del singolo confermano i simpatici pregiudizi antropologici, dando un solo risultato: le confessioni giornaliere di Thierry.

59 anni tra pochi giorni, Fremaux che si autocelebra è un mescolarsi continuo tra (pochissime) considerazioni extracinematografiche che riguardano anche solo il cielo scorto dalla finestra e le (tantissime) puntualizzazioni sui rapporti con le star che, guarda caso, spesso lo disturbano telefonicamente. Guillermo Del Toro e Isabelle Huppert gli messaggiano: “Sei a Parigi, ceniamo insieme?”. E lui: “No, mi spiace, non ce la faccio”. Jake Gyllenhall? Sarebbe bello, ma non ce la faccio uguale. Anche se poi conferma la genealogia gallica correndo al compleanno di Lea Seydoux, mentre con Robert De Niro arranca un po’ come fosse un grimpeur in debito d’ossigeno, infine Steven (Spielberg) si fa vivo solo attraverso la sua segretaria. Ci sono poi i registi e produttori questuanti, che si incontrano soprattutto verso inizio anno, quando al Festival mancano pochi mesi, oppure i registi, attori, produttori adulatori, questi appena finisce il festival.

Vincent Lindon che lo ringrazia della Palma d’Oro come miglior attore dicendogli che persino l’autista di un bus ha fermato il tram per rendergli omaggio del premio (vinto nel 2015 per La legge del mercato). Oppure Maiwenn che ancora non sa come sdebitarsi per il consiglio di tagliare qua e la il suo quinto lungometraggio da regista, Mon Roi. O ancora: sappiate che Fremaux con Daniel Day-Lewis parla sempre di biciclette (ma anche con Dany Boon, precisa il nostro nella riga successiva). Perché chiaro, il diario del delegato generale di Cannes in originale è rivolto ad un pubblico francese, quindi questa frenetica e ridondante dialettica con media, produzioni e star d’oltralpe è simbolicamente l’esposizione del segno del comando che da qui rischiamo di comprendere meno.

Quando invece Fremaux osserva il cinema italiano e il suo generale andazzo ne escono delle belle. Intanto l’elogio ovvio alla Cineteca di Bologna, con cui il Fremaux restauratore/conservatore lionese ha sempre intrattenuto ottimi rapporti, per il festival del Cinema Ritrovato. Poi certo confonde Ferrara con Bologna (pensate cosa direbbe un francese se confondessimo Lione con Bourg-en-bresse, ma fa niente), ma ci svela un segreto interessante: nel 2013 Gianluca Farinelli, direttore della Cineteca di Bologna voleva entrare in politica. E Fremaux a dissuaderlo: il cinema è già fare politica. Bene, bravo (con l’accento sulla o). Infatti in Cannes Confidential il nostro sa come si fa politica usando il cinema. Tanto per dirne una: la Mostra Cinematografica di Venezia non appare mai. Soprattutto quando il diario si avvicina a fine agosto e inizio settembre. Guarda caso, ogni volta che c’è da parlare di Venezia è per dire che “i grandi cineasti non ci vanno più” (per colpa dei critici cattivi); che a Venezia vincono gli scarti di Cannes (pagina 103 Il segreto di Vera Drake) con un Mike Leigh scartato così en passant per il troppo “credito illimitato che concedevamo agli abbonati a Cannes”; oppure il rifiuto sostenuto e fiero dei blockbuster perché Cannes è Cannes suvvia (un po’ come la tigna per Netflix) e quindi I magnifici sette di Antoine Fuqua guarda caso va Fuori Concorso a Venezia 2016.

Fremaux è uno stratega acuto e chirurgico soprattutto con i cugini italiani. L’elogio di Paolo Sorrentino ad libitum (nonostante la cattiva stampa francese) anche se L’uomo in più (era a Venezia, of course) non gli era piaciuto, ma del quale subito mette in Concorso Le conseguenze dell’amore (registrando bordate di fischi, c’eravamo nel 2004 alla prima mattiniera per la stampa del film). Oppure quando bacchetta i produttori de La pazza gioia di Virzì, rei di aver parlato fin da gennaio di un film straordinario (poi il film finì nella parallela ma alternativa Quinzaine). Il segreto della selezione del Concorso, e del Certain Regard di Cannes, in fondo è lo stesso che ammise candidamente il concorrente del Lido, Alberto Barbera, qualche anno fa: si raccoglie quello che è pronto. Già, Fremaux può mettersi a storcere il nasino sui titoli francesi o su qualche cineasta indipendente portoghese, ma su Hollywood Thierry recupera ciò che la rete stesa da mesi riesce ad agguantare mentre lentamente la ritira a riva. Un paio, infine, i punti importanti di un libro fiume che davvero zampilla di aneddoti ma non di veri e propri retroscena.

Intanto, ricordando che questo libro è stato scritto nel 2017, quindi pre #MeToo, c’è un ritratto di Harvey Weinstein che ne evidenza i modi duri, sfacciati e prepotenti, con una sentenza lapidaria alquanto fine: “era una combinazione tra Fatty Arbuckle (celebre attore comico piuttosto in carne che nel 1922 finì in tribunale per violenza carnale e omicidio ndr) e Harry Cohn (il fondatore, con il fratello, della Columbia, conosciuto anche per fare sesso con molte attrici offrendo in cambio lavori nel cinema ndr)”. Ancora un’ultima chicca tratta da un questionario/intervista di un giornalista francese. Domanda: Il film che non ha ancora capito?. Risposta: Mulholland Drive di David Lynch.

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