di Linda Maisto e Francesco Pastore
Qualche mese fa, da queste colonne, abbiamo chiesto al ministro della Pubblica Amministrazione, Giulia Bongiorno, di rispettare la parola data all’inizio del suo mandato di voler assumere 500mila dipendenti pubblici, tanti quanti sarebbero in uscita dalla pubblica amministrazione (Pa) per pensionamento. In questi giorni, la ministra è intervenuta per riparlare del tema, guarda caso all’avvicinarsi dell’appuntamento elettorale europeo. Ha confermato l’impegno, aggiungendo che sono pronti anche i contratti con gli adeguamenti stipendiali attesi da tempo, ma concretamente non ci sono interventi in questa direzione. Si tratta della ripetizione dell’annuncio di settembre scorso, aggiornato in funzione elettorale.
Così, però, rischia di assomigliare all’annuncio della ex ministra Marianna Madia prima delle elezioni del marzo 2018. Già all’epoca, l’annuncio pre-elettorale ebbe l’effetto di irritare gli elettori contro il governo. Molti si chiedevano: perché non avete ancora fatto niente e annunciate nuovi aumenti stipendiali e nuove assunzioni dopo le elezioni?
Se vogliamo, la notizia vera è che la ministra in carica ha precisato che il numero corretto del personale da assumere nei prossimi anni sarebbe la metà di quello annunciato a settembre da lei, e anche dai governi precedenti, e cioè 250mila unità. Una strana sforbiciata, considerando che nel frattempo una serie di provvedimenti, fra cui quota 100, hanno determinato e determineranno a breve un ulteriore dimagrimento della Pa.
Inoltre, la ministra ha dichiarato di voler recepire alcune delle novità introdotte dal Piano Lavoro della Campania del governatore Vincenzo De Luca, che abbiamo segnalato ai nostri lettori in più occasioni. Avere tanti concorsi locali è un costo non solo per l’amministrazione, ma anche per le famiglie e i giovani che devono passare anni a muoversi avanti e indietro lungo lo Stivale per partecipare ai concorsi. Per non parlare del costo della preparazione ai concorsi, sempre diversi l’uno dall’altro, in termini di libri di testo da acquistare, di corsi privati da seguire, di modalità di espletamento delle prove, che pure influenzano molto la performance, di materie da studiare e di test da conoscere. Meglio centralizzare i concorsi e poi spendere i soldi pubblici per fare formazione post-concorso per i vincitori, a svolgere le attività per cui sono stati assunti. Le selezioni poi saranno fatte tenendo conto del titolo di studio acquisito e delle competenze, piuttosto che delle nozioni, tutte uguali per ogni concorso. Le competenze digitali saranno richieste a tutti i futuri dipendenti pubblici.
Sì, poiché – come si sa bene – le nostre università puntano tutto sull’istruzione di carattere generale e teorico e poco sulle competenze legate al lavoro. Queste ultime allora devono essere fornite ai vincitori di concorso. Altrimenti, non ci lamentiamo se i dipendenti pubblici non hanno le competenze loro richieste, se nessuno le ha insegnate loro. Siamo il paese che fa meno formazione sul posto di lavoro, e meno formazione professionale per i disoccupati.
L’alternativa, di cui si discute da tempo e che la ministra Bongiorno ha rilanciato anche in questi giorni, è che si sviluppino corsi di laurea finalizzati all’accesso nella Pa e quindi in grado di formare il giovane con le competenze specifiche dei lavoratori di questo settore, come accade nei paesi più avanzati, con effetti molto positivi sull’efficienza della Pa. Però la ministra ha dimenticato di dire come intende procedere e con quali soldi.
La centralizzazione delle procedure concorsuali a livello regionale è stata l’intuizione principale alla base del Piano Lavoro della Campania, al quale la Bongiorno ha fatto esplicitamente riferimento. Secondo lo schema della Bongiorno, ogni Regione dovrà fare come propone la Campania, cioè un concorso regionale. Ciò dovrebbe anche evitare un’eccessiva mobilità per trovare lavoro in altre regioni, soprattutto da parte dei meridionali. Il lato negativo è che chi fa un concorso in una regione diversa dalla propria regione di residenza, poi difficilmente potrà tornare. Ma la mobilità dovrebbe restare un diritto, anche se molte amministrazioni del Nord lamentano che viene personale dal Mezzogiorno che poi lascia vacante il proprio posto di lavoro dopo qualche tempo, chiedendo il trasferimento nella propria regione di origine. Inoltre, il personale della Pa nelle regioni meridionali tende ad aumentare sempre di più.
Un altro dato importante è il costo. Queste assunzioni non vanno viste come un caso di assistenzialismo, di imbottitura della Pa per assorbire la disoccupazione, di vetero-keynesismo d’assalto. Le assunzioni servono per pareggiare i conti. Negli ultimi dieci anni e anche più, come abbiamo già notato nei nostri editoriali precedenti, i dipendenti della Pa in Italia si sono drammaticamente ridotti di numero di circa 500mila unità. Attualmente, ci sono circa 3 milioni di dipendenti pubblici che, rapportati alla popolazione, sono una delle quote più basse in Europa.
La Pa rappresenta un importante stabilizzatore macroeconomico e fornisce uno sbocco importante ai laureati, che, non a caso, stanno affollando le professioni libere con una drammatica riduzione degli onorari dei professionisti e loro proletarizzazione.
La legge Madia e gli altri interventi precedenti, in atto già a partire dal 2010 con il governo di Silvio Berlusconi, hanno bloccato le assunzioni nel settore pubblico in modo davvero imbarazzante, impedendo il ricambio necessario del personale. Il meccanismo era quello tipico dei tagli lineari. Anziché fare politiche di riduzione del personale dove ce n’era meno bisogno, lo si tagliava dappertutto in modo uguale, nella stessa proporzione, arrecando, peraltro, grave danno agli uffici che non avevano bisogno di tagli, ma di nuove assunzioni. E considerati anche gli scarsi incentivi alla mobilità nella Pa, molti rami della Pa si sono trovati drammaticamente sprovvisti di personale di cui avevano bisogno per il loro normale funzionamento. Un vero disastro, realizzato attraverso il meccanismo del blocco del turnover e del blocco degli aumenti stipendiali previsti dai contratti di lavoro vigenti, al quale occorre porre rimedio al più presto.
Non è distruggendo la Pa che si favorisce la crescita economica, ma al contrario, rendendola moderna ed efficiente. La crescita di un paese deriva da una gestione attenta ed efficiente del personale della Pa.