di Gabriele Gelmini
Il 17 maggio 1990, 28 anni fa, l’Organizzazione mondiale della sanità rimosse definitivamente l’omosessualità dalla lista delle patologie mentali. Per questo nel 2004 le Nazioni Unite e le organizzazioni Lgbt decisero di scegliere questa data come Giornata internazionale contro l’omofobia e la transfobia.
Pur con i grandissimi passi avanti compiuti in questi ultimi 15 anni, l’omofobia costituisce ancora una vera piaga sociale: solo in Italia e nel solo 2019 si contano almeno 50 episodi omofobici, tra attacchi personali (che vanno dall’insulto all’aggressione fisica), vandalismo contro le sedi di associazioni Lgbt, minacce e anche censure a livello massmediatico. Dunque non si tratta di episodi isolati: anche le istituzioni contribuiscono ad alimentare questo clima. Penso per esempio ai vari Family day (con annessa scritta gigantesca a illuminare il grattacielo del Pirellone a Milano nel 2016), al Congresso delle famiglie, alle uscite “infelici” del senatore Simone Pillon. E gli omofobi non si vergognano più di uscire alla luce del sole. Mi viene in mente – una vicenda su tutte – il muro di cinta che una famiglia del Veronese si è vista costretta a costruire attorno alla propria abitazione per proteggersi dagli attacchi omofobi: si parla di secchiate di benzina in faccia e svastiche disegnate sui muri di casa.
Ogni anno, a livello internazionale, viene scelto un tema attorno a cui sviluppare questa Giornata. Nel 2019 si è optato per “giustizia e protezione per tutti”. Sì, perché esiste una categoria di persone doppiamente discriminata nei Paesi più sviluppati: i migranti Lgbt. Le persone che vivono in Paesi in crisi, o a rischio di esclusione sociale nel loro contesto di provenienza, sono senza dubbio coloro che più sentono il peso dell’omofobia nelle loro vite. Quando costoro riescono, superando mille difficoltà, ad arrivare nei nostri Paesi, continuano a subire vessazioni legate al proprio orientamento sessuale o alla propria identità di genere, oltre allo stigma dato dallo status di rifugiato o di immigrato.
Attualmente, i Paesi che includono leggi contrarie alla comunità Lgbt sono 72. Alcuni addirittura concepiscono l’ergastolo o la pena di morte per i membri del collettivo. E non si parla solo di Africa: che dire delle discriminazioni subite dai gay in Russia e in Cecenia, dove addirittura pare sia in atto uno “sterminio” con campi di concentramento e torture annesse, o del trattamento inumano riservato agli omosessuali nelle zone martoriate dall’Isis, con le vittime lanciate dagli edifici più alti delle città.
Tornando all’Italia, il report annuale dell’Arcigay stila un bilancio impietoso. Nell’ultimo anno i casi documentati di omofobia sono stati 187, con un incremento delle segnalazioni del 33%: un paradosso per un Paese che giusto tre anni fa ha approvato una legge sulle unioni civili. Per questo Arcigay ha lanciato una campagna social a cui ha subito aderito anche Vladimir Luxuria, paladina della lotta contro l’omofobia, postando su Twitter una foto di quando era ragazzo:
Mai dimenticare chi ero per capire meglio chi sono oggi, i lividi per le botte, le ferite del cuore per gli insulti.Queste cicatrici sono medaglie alla resistenza di chi crede nella principale libertà: essere sempre se stessi #giornatamondialecontrolomofobia #omofobia #transfobia pic.twitter.com/q1ykU5qxxx
— vladimir luxuria (@vladiluxuria) 16 maggio 2019
Naturalmente Arcigay non è nuova a questo tipo di iniziative: solo un mese fa ha lanciato la campagna “Non fa ridere” contro il bullismo omotransfobico sul web. Anche le parole all’apparenza più innocue – penso ai vari “frocio” o “ricchione”, magari pronunciate in contesti informali – sono infatti discriminatorie, soprattutto per chi non si trova nelle condizioni di potersi difendere (per esempio sul luogo di lavoro), e contribuiscono ad alimentare l’hate speech nei confronti del collettivo Lgbt.
Insomma, il giorno in cui nessuno, in nessun angolo del pianeta, verrà più insultato, umiliato, picchiato o assassinato per il proprio orientamento sessuale o per la propria identità di genere, allora giornate come queste (o le manifestazioni come i Gay pride, che iniziano giusto in questi giorni ad affollare le piazze d’Italia e non solo) non saranno più necessarie. Ma intanto la lotta contro l’omofobia deve rimanere costante, inclusiva, e dobbiamo insistere perché nessuno possa decidere cosa dobbiamo fare del nostro corpo, del nostro amore, della nostra vita. Oggi più che mai, #stopomofobia.