16 luglio 2014: Massimiliano Allegri è l’allenatore della Juventus da poche ore. A Vinovo si radunano circa 300 tifosi, contestano aspramente la scelta della società, che ha deciso di affidare all’ex tecnico del Milan la panchina lasciata libera da Antonio Conte, juventino doc, che lamentava campagne acquisti non all’altezza delle ambizioni europee della Vecchia Signora. 17 maggio 2019: Massimiliano Allegri e la società torinese divorziano, motivazioni ancora ignote ma contesto simile a quello di cinque anni fa. Perché la verità è che gli juventini non hanno mai realmente amato l’allenatore livornese. Un feeling mai sbocciato, anche a causa del carattere del tecnico toscano: spigoloso, irascibile, lontano anni luce da quello stile Juve superato nei fatti, ma ancora tanto decantato. Nel mezzo, però, c’è un lustro difficilmente ripetibile in termini di successi. Ed è da qui che bisogna doverosamente ripartire per tracciare un bilancio oggettivo dell’era Allegri alla Juve: cinque scudetti vinti (gli ultimi senza particolari affanni), 4 Coppe Italia, 2 Supercoppe Italiane, due finali di Champions perse e tre eliminazioni ai quarti di finale, due delle quali al termine di partite epiche.

La terza, quella di quest’anno contro l’Ajax, è stata quella decisiva per voltare pagina: perché per la prima volta i bianconeri sono usciti con merito, perché qualcosa dopo la sconfitta di Torino con l’Ajax si è rotto negli equilibri tra tecnico e società, che mai come nella stagione in corso puntava al successo in Europa dopo un mercato monopolizzato dall’arrivo di Cristiano Ronaldo. Il popolo bianconero, dal canto suo, ha interpretato la debacle di Champions come il segno inequivocabile della necessità di voltare pagina. Tecnico e società hanno subito smentito a parole l’ipotesi di divorzio. Che oggi, però, è diventato realtà. La gente che tifa Juve è contenta: per i supporters Allegri ha una colpa enorme, quella di aver fatto spesso giocare male la squadra. Accuse esplose dopo l’Ajax, ma emerse già dopo la sconfitta nell’andata degli ottavi contro l’Atletico Madrid: in seguito agli insulti, l’allenatore aveva chiuso i suoi profili social.

Negli ultimi tempi, poi, si era incrinato anche il rapporto con Agnelli, Nedved e Paratici. Impossibile non pensare che la dirigenza non sia rimasta delusa da alcuni fattori: in primis l’eliminazione dalla Champions, ma anche l’utilizzo controverso di alcuni big (Dybala in primis) con conseguente svalutazione sul mercato e il rapporto non buono con alcuni pezzi da 90 dello spogliatoio (Dybala stesso, Alex Sandro, Douglas Costa, Cancelo). La rottura definitiva, però, è maturata su una completa diversità di vedute circa il futuro della rosa: Allegri voleva cambiare molto, vendere e poi comprare, insomma rifondare. I dirigenti, in particolare il vicepresidente Pavel Nedved, erano e sono per consolidare una squadra che in Italia resta anni luce avanti a tutte e in Europa – a quanto pare – andava solo sistemata meglio in campo. L’insieme di queste elementi ha portato alla separazione: consensuale, perché nessuno si tira i piatti e se li tirerà.

A poche ore dall’ufficialità dell’addio, tuttavia, Allegri è già il passato, perché tutti ora vogliono capire il futuro della panchina più prestigiosa d’Italia e tra le prime sette/otto d’Europa. Al netto di sorprese più o meno esotiche, il buon senso e il sentimento degli juventini ha un solo nome: Antonio Conte, che aveva lasciato perché “non poteva sedersi al tavolo di un ristorante da 100 euro con 10 euro in tasca” e che ora potrebbe riaccomodarsi nello stesso locale con una capacità di spesa ben diversa. Certo, il più delle volte le minestre riscaldate e i cavalli di ritorno non funzionano: ma tra la Vecchia Signora e il tecnico salentino è amore vero, un ritorno di fiamma sarebbe come quelle coppie che si lasciano perché desiderose di nuove esperienze ma dopo qualche anno tornano insieme e mettono su famiglia (la Champions?). Certo, l’ambizione suggerirebbe anche altro: bel gioco, fascino, spettacolo. Quindi Pep Guardiola, insieme a Jurgen Klopp (e in misura minore Maurizio Sarri) l’unico in grado di dare una fisionomia riconoscibilissima a tutte le squadre che ha allenato e con cui ha vinto.

Il suo Manchester City attraversa un momento controverso: ha vinto la Premier League, è stato eliminato immeritatamente dal Tottenham nei quarti di Champions, rischia di saltare il prossimo giro europeo (con conseguente blocco del mercato) per non aver rispettato il fair play finanziario imposto dall’Uefa. Insomma: anche per lui i motivi per cambiare aria non mancano e il suo arrivo a Torino rappresenterebbe forse la risposta più forte all’ambizione juventina di primeggiare anche fuori dai confini nazionali. Infine la terza via, quella più percorribile ma anche più rischiosa: Simone Inzaghi, tecnico di una Lazio portata a vette forse non pronosticabili, vincitrice della Coppa Italia, interprete perfetto del motto preferito da Claudio Lotito, quel “massimo risultato col minimo sforzo (economico)” che potrebbe tornare utile anche in casa bianconera, alle prese con qualche problema di bilancio e con la grana Higuain (che non sarà confermato dal Chelsea). Inzaghi costa poco, ma ha davvero poca esperienza internazionale e a certi livelli non ha mai allenato: insomma, un rischio enorme per chi ha necessità di vincere tutto e subito. Come nel 2014, quando la Juve scelse Allegri per dimenticare il tradimento di Antonio Conte. Una storia che potrebbe ripetersi, con un amore ritrovato (l’ex capitano di tante battaglie) o una nuova relazione, più o meno pericolosa.

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