Diritti

Noi trans inganniamo i maschi etero e quando ci scoprono ci picchiano. Normale, no?

di Alexis Bonazzi

Vocabolario: in questo blog mi riferirò ad individui sia transgender che transessuali usando il termine “trans”, non specificando uomo o donna. Qualora lo dovessi fare, userò MtF nel caso di donne trans (assegnate maschio alla nascita) e FtM nel caso di uomini trans (assegnate femmina alla nascita).

Come già detto in questo blog, gli atteggiamenti omo-transfobici hanno mille sfaccettature, ma oggi vorrei soffermarmi su una in particolare: il concetto di inganno come scusa per la violenza transfobica. L’esempio classico vede un uomo eterosessuale scoprire che la propria partner ha attributi biologici maschili e, sentendosi in qualche modo ingannato, spesso brutalizzare la vittima, sostenendo poi in tribunale la “difesa da panico trans” (ramificazione della Gay Panic defense) che spesso viene presa in considerazione come attenuante. Uno dei casi più sconvolgenti riguarda Gwen Araujo, MtF uccisa a 17 anni, strangolata e colpita con un badile (3 ottobre 2002, Newark, California). Dai trascritti dell’interrogatorio degli imputati si vede già come prima dell’omicidio i sospetti si ripetevano frasi del tipo se lei è un uomo lo uccido o non posso essere un gay del cazzo. Qui vediamo anche l’idea radicata che i clienti/fidanzati/mariti di MtF siano gay, quando così non è.

Vorrei fermarmi però sulla retorica di colpevolizzazione della vittima che vediamo spesso in azione anche a discapito di donne cisgender colpevoli di avere un vestito attillato, o aver bevuto troppo, di fatto correlando la violenza transfobica alla violenza misogina. La vittima viene accusata di avere ingannato il proprio partner e, quindi, questo tipo di violenza e di atteggiamenti si traduce in termini di “esposizione” e “scoperta”, “apparenza” e “realtà”. La retorica dell’inganno tende a venire adottata da persone che pensano che la divisione dei generi (uomo/donna) sia sempre definita e inequivocabile. Questo è in netto contrasto con i trans, che al contrario vivono il costrutto del genere come uno spettro fluido, identificandosi in categorie spesso incomprensibili per l’altra parte. Questo pensiero ci fa notare come il contrasto tra la nostra espressione di genere (“apparenza”) e il nostro sesso (“realtà”) ci porti a un bivio dove entrambe le opzioni sono negative. La prima vede ad esempio una MtF, i cui genitali vengono esposti (spesso forzatamente), venir trattata come una frode, con tutte le conseguenze violente che questo può avere. La seconda, invece, prevede che la MtF si autoesponga preventivamente per evitare violenze, con il risultato di essere percepita e trattata come un “travestito”, un “uomo con la parrucca” o altri termini che – sono sicura – tenete in caldo per le serate con gli amici.

In questo stallo alla messicana da cui uscire incolumi sembra impossibile, come agire? Esporre la nostra “realtà” e venire derise e ridicolizzate o celarci dietro la nostra “apparenza” e correre il rischio di venire scoperte ed etichettate come impostore e manipolatrici? Più le botte ovviamente, perché che mondo sarebbe senza? Quest’apparente necessità di allineare espressione di genere e sesso biologico fa sì che i trans che per diverse ragioni (tra cui ceto sociale ed etnia) non siano in grado di farlo (ossia di medicalizzarsi) vengano visti come bugiardi impostori, se non come predatori sessuali. Se così fosse, vorrebbe dire che la funzione primaria dei nostri vestiti e della nostra apparenza sarebbe comunicare agli altri la nostra “realtà” biologica, il che è ironico, quando è pensiero comune che l’obiettivo primario dei vestiti sia coprire le nostre parti intime. Questo è importante, nel contesto in cui la società spesso richiede a persone trans di andare in giro con un cartello al collo che dica ‘’io sono trans’’, ma non richiede ai nostri aguzzini di averne uno che dica: “siamo transfobici e ti uccideremo”.

Non stiamo ingannando nessuno! Siamo ciò che siamo! E come se non bastasse l’umiliazione nel venire esposti, veniamo anche puniti. Lo stupro è una punizione. Mi sembra ovvio no? Quando scopri che la tua ragazza ha un pene, perché non violentarla? Non fa una piega. Così viene punita perché interprete del ruolo di donna, ma senza darle la dignità di venire riconosciuta come tale. E quando un FtM viene esposto e violentato, anche lui viene abusato in quanto donna. Stessa sorte per le lesbiche, punite per aver sfidato l’autorità del maschio virile. Così imparano.

La violenza transfobica è intrinsecamente violenza misogina. In un mondo che ci deruba della nostra autenticità, in una lotta che vede i violenti scamparla sempre in barba alle atrocità che commettono, nasconderci dietro a del fondotinta è forse la migliore tattica di sopravvivenza. Spero che un giorno società e politica si lascino alle spalle tutte le chiacchiere sessiste da bar e, insieme, ci si muova verso una società che passi dal riconoscimento dei diritti fondamentali per le minoranze, dove chiunque possa finalmente esprimersi senza venir oppresso e discriminato.

Se siete arrivati fin qui vi prego di andare a controllare la pagina dei Sentinelli di Milano e la loro iniziativa #AteCosaCambia?. Anche noi di Wake Up Italia abbiamo la nostra bella foto con la maglietta! Se aveste poi voglia di farvi una cultura riguardante ciò di cui sopra, andate a leggere le opere della professoressa, filosofa e attivista trans Talia Mae Bettcher. Baci!