Non vi è dubbio che fino a qui i pericoli paventati di un ritorno del fascismo abbiano incontrato controargomentazioni valide. Non è solo che CasaPound si mantenga sotto l’1% dei consensi o che i neofascisti sembrino battersi più sulla possibilità di esibizione di anacronistici saluti romani che su incursioni illegali come nella vicenda di Casal Bruciato. Le maggiori garanzie di distanza da una reale piega neofascista intesa come imposizione di un’ideologia dominante sono date, oggi, dagli strumenti di comunicazione, che rendono del tutto obsoleto e inefficace lo squadrismo come pratica di azzeramento del dissenso attraverso l’intervento violento mirato.
Lo stesso ministro dell’Interno Matteo Salvini, pur non essendo certo incline alle mediazioni, sembra perfettamente sintonizzato con le regole della comunicazione mediatica nel tempo dei social, perseguendo con religiosa dedizione ciò che viene dai sondaggi, con poche eccezioni.
Eppure è vero che se gli strumenti attuali rendono estremamente facile tanto conoscere e perseguire il consenso quanto esprimere dissenso, tanto da far pensare che il principio base di ogni dittatura non possa essere forse mai più applicato, d’altro canto è anche vero che è sempre possibile che con la distanza storica dall’ultimo “vero” fascismo, con l’affievolirsi della memoria, un vuoto di preoccupanti possibilità si apra. Le conquiste dello Stato laico sono messe in discussione, la semplice esistenza delle minoranze, dai migranti alle comunità minoritarie, è spesso vissuta come minaccia di invasione. Siamo davvero protetti da qualcosa che non può più presentarsi? Certo non nelle forme ciò conosciute. C’è però la possibilità di non riconoscere eventuali nuovi leader autocratici, che dovrebbero certo essere diversi dal passato, inevitabilmente fare i conti con una società rinnovata, e quindi presumibilmente presentarsi con un volto nuovo e diverso, che sarebbe certamente social e forse perfino apparentemente amichevole.
In questo senso, non è sbagliato mantenere attenzione ad alcuni segnali inquietanti. Togliere striscioni di dissenso dalle finestre inviando squadre di polizia in case private o usare la Digos per strappare il telefono delle mani di adolescenti colpevoli di avere inscenato qualche provocazione ai danni di un ministro pone diversi ordini di problemi.
1. Anzitutto, le cause. E’ possibile che Matteo Salvini, leader di quello che secondo i principali sondaggi si appresta a essere confermato come il primo partito in Italia, non sopporti il dissenso? Sarebbe grave, e, in sovrappiù, porrebbe in primo piano il tema dell’uso legittimo, ovvero politico o ancora peggio personale, degli organismi dello Stato, quando – inutile raccontare fesserie – di pericoli non se ne è mai vista nemmeno l’ombra. Se si tratta di una questione, diciamo così, di personalità che porta il ministro al desiderio di soffocare l’espressione della critica da parte di cittadini comuni, questo certo di per sé sarebbe un germe inquietante, al di là delle considerazioni sulla presenza o meno di terreno fertile per farlo sviluppare.
2. Secondo problema. La libertà di esprimere dissenso, in un paese democratico, è – e deve essere – sempre garantita, sancita dalle carte costituzionali, nei modi e tempi scelti dal cittadino. E’ fondamentale. Pessima da questo punto di vista l’idea di utilizzare, per rimuovere uno striscione a Brembate, i pompieri, da sempre associati a un’idea di protezione collettiva, per rimuovere, con un’azione di forza e quindi sostanzialmente di polizia, un cartello messo da un cittadino. L’immagine di per sé è quella di un pervertimento dell’uso di uno strumento “buono” di protezione per proteggere non già un singolo, ma – peggio – un interesse politico. Qualcosa che si presenta inaccettabile. Inutile entrare nel merito della catena di comando, per dare la colpa a un questore o a qualcun altro. È anche difficile credere che tutto si possa liquidare con un eccesso di zelo di qualche questore né tantomeno dei pompieri di Brembate.
3. Infine Salvini giustamente sarà stato redarguito dai suoi spin doctors sull’effetto boomerang di un simile tentativo di soffocare sul nascere una flebile protesta popolare in fondo del tutto confinata all’uso della parola. Infatti oggi è puntualmente pervenuto sui social il dietrofront in forma di un messaggio Twitter che ci annuncia che addirittura al nostro ministro dell’Interno certi striscioni “divertono”. Evidentemente qualcuno è corso ai ripari. Ma tardi.
Confesso, alcuni striscioni contro mi divertono. Basta che non ci siano insulti o minacce di morte, basta che non ci sia violenza, tutto il resto fa parte della Democrazia.https://t.co/53YpoYRchY
— Matteo Salvini (@matteosalvinimi) May 14, 2019
Due associazioni milanesi, Insieme senza Muri e i Sentinelli guidati da Luca Paladini, hanno raccolto la sfida della diffusa inquietudine immediatamente dilagata di fronte a questa soppressione del pensiero e della critica democratica, e l’hanno rilanciata con la protesta dei lenzuoli a Milano in occasione dell’imminente visita programmata da Salvini per il 18 maggio, invitando tutti ad appendere messaggi al proprio balcone. In questo caso, Salvini, homo faber, ha fatto tutto da sé. Il boomerang è stato lanciato e ora è inevitabile che ritorni.