Un piano di unità nazionale contro le mafie”. E’ l’annuncio solenne e definitivo del ministro dell’Interno Matteo Salvini nel corso del Comitato per l’ordine e la sicurezza pubblica di giovedì scorso in Prefettura a Napoli. Il capo del Viminale, che non è un interlocutore efficace e tecnicamente all’altezza nella lotta alle mafie, tra un sorvolo su aereo di Stato, un comizio travestito da appuntamento istituzionale farlocco, una rimozione forzata di striscioni e l’allontanamento di una professoressa ha dettato la ricetta slogan – una delle tante – per arginare la violenta controffensiva gangheristica delle bande di camorra di stampo terroristico. All’ombra del Vesuvio c’è una emergenza criminale che rasenta la follia e somiglia per modalità e irragionevolezza ai raid dei gruppi dell’Isis.

Il leader delle Lega ha aggiustato il tiro, insomma, al cospetto dei massimi vertici investigativi e giudiziari partenopei (una eccellenza nazionale) poteva anche dire i ‘camorristi si ammazzino tra loro’, invece, ha buttato sul tavolo un nuovo format: “Un piano di unità nazionale contro le mafie”. Trovandosi poteva aggiungere un efficacissimo con “scappellamento a destra come fosse antani prematurata alla supercazzola”. A Napoli si continua a sparare. E nonostante la notte è più nera della mezzanotte c’è voglia di ribellarsi, gridare no alla maledizione di una camorra impazzita. La società civile si mobilita e chiede con insistenza azioni, concretezza e risultati. Obiettivo è il disarmo della città.

I cortei di protesta si susseguono quotidiani. In prima linea scuole come la “Vittorino da Feltre” con la direttrice Valeria Pirone, l’Istituto Comprensivo Miraglia-Sogliano, le associazioni, le fondazioni e le parrocchie. Una trincea scavata per non cedere di fronte all’assedio dei clan. C’è un torpore che preoccupa. Anche di fronte all’appello accorato e preoccupato del procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo Federico Cafiero de Raho, nulla si è mosso. I ghiacciai sono sempre lì.

Tra giovedì e venerdì, un’altra gravissima scorribanda. Addirittura questa volta è stato violato il pronto soccorso dell’ospedale del Vecchio Pellegrini nel cuore del Centro storico. Un raid contro un giovane, Vincenzo Rossi, 22 anni, ferito qualche minuto prima in via Toledo a pistolettate. Trasportato in auto da almeno 4 giovani – tra loro due minorenni – al nosocomio è stato raggiunto dal suo assalitore che ha fatto irruzione e aperto nuovamente il fuoco all’indirizzo del ferito per ammazzarlo. L’uomo nero – l’ennesimo – ha esploso almeno 6 colpi calibro 9 ferendo di striscio due ragazzini che sono scappati senza farsi medicare.

L’agguato mostra come ormai l’imbrigliamento ideologico criminale insito nei clan tradizionali sia completamente saltato. Gli attacchi sono istintivi e carichi di furore criminale a volte deformati dall’uso degli stupefacenti. Non c’è un direttorio che decide e decreta. Sembra che lo sparare, ferire, uccidere in questa sorta di camorra gangheristica-terroristica super polverizzata risponda e agisca seguendo le logiche digitali dei social: l’immediatezza e il non senso della realtà.

Poteva essere una strage. Quei proiettili esplosi ad altezza d’uomo hanno scheggiato scalini, suppellettili e si sono anche conficcati nei muri. Medici, infermieri, pazienti, loro familiari potevano finire su quelle traiettorie. Anche in questo caso solo la fortuna ha evitato altre vittime innocenti. Le sequenze delle immagini catturate dalle telecamere della vigilanza descrivono l’orrore meglio di tante stanche parole. E’ Far West terroristico. E’ normale tutto questo? E’ tollerabile? Cosa si aspetta il bagno di sangue innocente? E’ una guerra a bassa intensità con fiammate di immane violenza. E’ una situazione fuori controllo. Certo, la disarticolazione dei clan, i boss tutti in carcere, il vuoto di potere, il fiato corto, i sequestri e le confische, insomma, saranno anche colpi di coda dei clan ma il limite è stato superato abbondantemente: a rischio è la coesione sociale.

Mentre Noemi, la bimba di 4 anni, colpita lo scorso 3 maggio, da una pallottola in piazza Nazionale, combatte ancora la sua battaglia per sopravvivere e mentre il 9 aprile un altro bimbo di tre anni ha rischiato di rimanerci e davanti ai suoi occhi ha visto il nonno crollare in un lago di sangue e il papà accasciarsi centrato alle gambe, le risposte dello Stato non arrivano. Napoli va messa in sicurezza, basta zone franche, basta a una silente e complice tolleranza. Occorre una bonifica poderosa che parta dai clan e arrivi fino alle piccole e grandi illegalità quotidiane per le strade della città.

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