Ritorno al Futuro uscì nelle sale nel 1985, strappando un anno intero alle previsioni totalitariste di George Orwell. Nel confronto tra le due generazioni dei protagonisti Doc Brown e Marty McFly c’era tutto l’ottimismo di una società occidentale ampiamente entusiasta delle proprie prospettive: Doc rappresentava l’approccio scientifico esuberante dei suoi tempi, ansioso di abbattere le frontiere della fantasia, anche quando immerso in un contesto sociale scettico. Dal canto suo Marty ben incarnava una certa incoscienza giovanile disimpegnata, tipica della decade in cui viveva, che gli permetteva di scorrazzare a bordo di uno skate risultando carismatico invece che disadattato.

Lo Zeitgeist scientifico del film era ingenuo al punto da illudersi di piegare ai propri capricci la scienza stessa: nei viaggi temporali a bordo della Delorean la realtà si muoveva su un binario unico, sul quale si era in grado di modificare il passato e il futuro solo con la propria presenza. Il loro universo era decisamente antropocentrico, e si esauriva nella finalità ultima per cui era nato, ovvero l’intrattenimento cinematografico.

Partendo da questo assunto, la serie animata Rick and Morty di Justin Roiland e Dan Harmon è al contempo sia omaggio che parodia di Ritorno al Futuro, in quanto i suoi protagonisti ricalcano in maniera distorta quelli della pellicola di Robert Zemeckis. La fantascienza dissacrante dello show lo ha reso un piccolo cult televisivo, sia per la critica che per il pubblico, già dopo l’uscita dei primi episodi. Proprio nei giorni scorsi il network Adult Swim ha finalmente annunciato l’uscita della quarta, attesissima stagione per novembre 2019.

Il protagonista Rick Sanchez è uno scienziato alcolizzato che ha trovato il modo per viaggiare attraverso lo spazio e le dimensioni parallele e l’ha sintetizzato in una pistola che gli consente di aprire dei pratici varchi interdimensionali. Il suo genio scientifico non ha pari, ma lui è un cinico patologico, nonché gravemente anaffettivo. Morty Smith è suo nipote, un pre-adolescente introverso e malinconicamente ordinario, e accompagna più o meno volontariamente il nonno nelle sue avventure dissacranti e surreali.

Se Doc Brown era un ottimista, Rick supera il suo pessimismo di fondo con un nichilismo d’emergenza (nell’11esimo episodio della serie il personaggio Birdperson rivela che il buffo mantra dello scienziato, wubba lubba dub dub, nel suo linguaggio alieno significa: “soffro incredibilmente, per favore aiutatemi”). Se Marty McFly compensava le proprie insicurezze rivolgendo la propria attenzione a ragazze e automobili, Morty abbraccia le sue insicurezze dimostrandosi consapevole della propria condizione di incompreso. I due non si spostano su una linea temporale singola, ma viaggiano irresponsabilmente attraverso numerosi universi paralleli, tutti grotteschi ma al contempo vagamente tragici, e interferiscono spesso con il loro equilibrio esibendo la sufficienza di chi sa che sono infiniti e quindi potenzialmente irrilevanti.

La serie sembra porre lo spettatore di fronte a un quesito: se l’universo, scoprendosi multiverso, ci trovasse d’un tratto meno rilevanti, come reagiremmo? Disorientati come Morty o spregiudicati come Rick? La risposta è sempre sfacciatamente divertente, e al contempo illuminante. In un’epoca di post-verità (e di post-qualsiasi cosa), Rick and Morty solleva i riflettori dal classico terrore dell’ignoto, con cui per decenni si sono farcite le science fiction, e li punta invece tutti sulla certezza dell’ignoto, smascherando nuove declinazioni di quella paura originaria.

Il suo umorismo tagliente sembra voler diffondere nel pubblico il sospetto che l’ignoto non si curi affatto di noi, e che questo ci terrorizzi più dell’idea di qualcosa che faccia capolino dall’ignoto stesso per “invaderci”. Tuttavia, anche dinnanzi alla scoperta della propria irrilevanza, la prospettiva umana emerge come dominante, e lo fa con fini dissacratori: la superficialità con cui Rick si relaziona a un cosmo che non sempre rispetta è la stessa con cui le entità sovrumane presenti nella serie minacciano talvolta il pianeta Terra. Poco o niente rispetta il senso di ciò che ha di fronte a sé, ma tutto coesiste: non rimane che prendersene gioco, non rimane che abbracciare l’assurdità e accettare l’ipotesi che l’esistenza possa non avere alcun significato, quantomeno non un significato che siamo attrezzati per comprendere, ma che possiamo esplorare attraverso la narrazione.

Rick and Morty è uno show fuori di testa, ma lo è nella misura in cui l’incapacità di arrivare a uno scopo unico, incontrovertibile e condiviso dell’esistenza ci manda fuori di testa (What about that reality where Hitler cured cancer, Morty? The answer is ‘don’t think about it’).

Numerose sono le citazioni presenti nella serie, da quelle letterarie (lo Chtulhu di H.P. Lovecraft compare nella sigla iniziale) a quelle cinematografiche (nel corso degli episodi appaiono diversi riferimenti a Cronenberg e ad altri film di genere), a corredo di uno spettacolo in cui la decostruzione dei limiti umani, e di quella che è un’idea canonica di “realtà”, diventa beffa e al contempo consolazione del proprio pubblico.

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