Diritti

Stop alle navi con gli uomini, via libera alle navi con le armi

Fermiamo le navi che portano gli uomini. E facciamo attraccare le navi cariche di armi (che uccidono i civili). Chiudiamo i nostri porti ai disperati che ci chiedono aiuto e li spalanchiamo a chi porta soldi. E’ la nuda verità. Non è un’opinione, una presa di posizione politica. Sono fatti. Questo siamo diventati.

A volte la cosa più difficile è essere onesti con se stessi. Accade nella nostra vita personale, ma anche nell’esistenza collettiva di un Paese.
L’Italia sta male, ma invece di provare a correggersi se la prende con gli altri. E’ un nostro antico difetto: colpa dei migranti, dell’Europa, degli ‘zingari’. Non colpa della corruzione, della mafia, dell’evasione fiscale che dipendono da noi.

Mai che si tenti un esame di coscienza. Ma poi arriva un momento che ti trovi davanti all’evidenza. Proprio come oggi. E allora non puoi più voltarti dall’altra parte, sei messo di fronte all’immagine di te stesso.

Il destino ha voluto che fossero proprio le navi, i porti a ricordarci cosa siamo diventati. Da una parte le navi delle ong che vagano per il Mediterraneo e non riescono a sbarcare il loro carico umano: donne, bambini, disperati. Come fossero bombe. Mentre i cargo sauditi che le bombe le portano davvero dovrebbero attraccare indisturbati. Insomma: i poveracci no, i soldi sì.

A volte ci vogliono simboli per capire. Proprio le navi, noi che siamo sempre stati un ‘popolo di poeti e navigatori’, di emigranti. Proprio i porti, che ci ricordano il nostro passato di esploratori aperti al mondo, alla scoperta e al confronto.

Lunedì a Genova dovrebbe approdare la Bahri Yanbu. Dicono le autorità: non caricherà armi. Che pena, questa distinzione che vorrebbe salvarci la coscienza: non importa se trasporta armi, l’importante è che (stavolta) non gliele abbiamo date noi. Sì, chiudiamo gli occhi, facciamo finta di non sapere che questi cargo portano cannoni e bombe per una guerra nella Yemen, un paese meraviglioso ridotto alla disperazione. Dove migliaia di civili muoiono da anni, dove mezzo milione di persone vive in zone a portata di tiro dei cannoni europei e americani.

Ma chissà che qualcosa in noi non si risvegli. Che non ci ricordi chi siamo. Proprio a Genova, città che talvolta definiamo disincantata, attaccata ai soldi. Ma che nella sua storia ha mostrato invece una grande anima: la Resistenza, la rivolta contro i fascismi, le proteste al G8 del 2001. Genova ferita dal crollo del ponte Morandi, ma ancora viva. I camalli hanno protestato, lunedì faranno un presidio. Decine di associazioni cattoliche – dalle Acli e Libera – si sono unite a loro. Chissà che non si arrivi, come in Francia, a respingere la Yanbu.

Del resto lo diceva anche il poeta, Eugenio Montale, lui pure genovese. Ecco forse ci voleva questa nave carica di morte per ricordarci “ciò che non siamo, ciò che non vogliamo”.