Tra finzione e biografia, tra sogno e realtà, Pedro Almodovar ha confezionato un grande film e un’opera grande. L’apparente ripetizione riferisce all’impresa personale e universale messa in scena in Dolor Y Gloria, da ieri anche nelle sale italiane in contemporanea al Festival di Cannes dove è tra i più accreditati concorrenti alla Palma d’oro. Testamento “liberamente riprodotto” della propria vita, il nuovo film del più famoso cineasta spagnolo vivente mette in campo un regista pluripremiato e apprezzato in un momento critico della propria esistenza. Tormentato da dolori fisici che divengono anche psicologici, Salvador Mallo soffre il classico stallo creativo. Grazie a un paio di re-incontri fondamentali inizia un percorso nella memoria della propria infanzia, il rapporto con la madre, il trasferimento nella “caverna” in mezzo alla wilderness galiziana, il seminario, la prima relazione con un uomo.
“Non prendete affatto per oro colato quanto vedete nel film: c’è un’ispirazione alla mia vita ma non tutto corrisponde, e volontariamente! E soprattutto non sto male come Salvador, la mia salute è decisamente migliore”. Nei panni di Mallo è un Antonio Banderas in stato di grazia: se il film non vincesse la Palma d’oro (che molti già gli hanno attribuito “sulla carta”) potrebbe essere l’attore spagnolo a portarsi a casa il premio per l’interpretazione, meritatamente. Nel ruolo della madre del regista, versione giovane, è Penelope Cruz, da sempre fra le muse almodovariane, assai grata e felice di lavorare ancora una volta con Pedro. “Mi interessava – spiega un Almodovar visibilmente soddisfatto della calda accoglienza ottenuta ieri sera alla premiere – dar corpo al binomio dolore e gloria quali fondativi nutrimenti della creazione artistica. Almeno per quanto mi riguarda. La mia ambizione, infatti, non è definita dai premi, dal successo, bensì dal riuscire a raccontare le storie attraverso il cinema nel miglior modo possibile. Mi ritengo soddisfatto quando ho fatto bene ciò che volevo fare, perché sono io l’unico responsabile delle mie scelte”. In tal senso il “dolor”di cui il film si fa portavoce è l’incapacità dell’artista di realizzare il proprio destino, ovvero creare. E la causa è l’impedimento fisico dovuto a gravi problemi alla schiena. Intimo e universale, dunque, si diceva: Dolor y Gloriapuò rappresentare senza dubbi la summa dello sguardo almodovariano sul mondo e su se stesso, i suoi temi primari ed ultimi allo stesso tempo, le sue dipendenze che sono croce e delizia, la sua sete infinita di amore e di essere amato, il rapporto con l’adorata madre, e ancora i suoi colori, i suoi disegni, le sue musiche, le sue letture. Il film della maturità di un artista sensibile che – se non sempre al meglio si è espresso, specie negli ultimi anni – qui ha trovato la misura perfetta del proprio universo espressivo e narrativo per raccontare la dolcissima ancorché tragica caducità della vita.