La donna, storica titolare della catena di negozi Gavazzi, si era iscritta all’anagrafe degli italiani residenti all’estero pur continuando a "vivere abitualmente" nello "storico appartamento di famiglia" in pieno centro. E aveva formalmente fatto confluire il patrimonio in un trust istituito secondo la legge del Jersey. Ha dichiarato che voleva tenere i soldi "al riparo da eredi e da pretese fiscali ingiustificate"
Aveva fatto finta di risiedere in Svizzera e in Gran Bretagna per almeno 5 anni, ma in realtà non si era mai spostata dal suo appartamento in pieno centro a Milano. E continuava ad andare nella stessa palestra e a fare gli stessi acquisti. Protagonista della vicenda una milanese di 92 anni, storica titolare della catena di negozi Gavazzi, che tra gli anni ’80 e ’90 erano i rivenditori di articoli di lusso, cravatte e capi in seta di note marche della moda italiana. Un esposto presentato dal figlio ha fatto partire accertamenti della Guardia di Finanza e alla fine la signora ha patteggiato 8 mesi di reclusione. Nella sentenza, il giudice sottolinea come non si limitasse “ad affidare passivamente l’amministrazione delle proprie possidenze ai professionisti, eventualmente controllando l’operato degli stessi, ma si facesse parte propositiva di una serie di strategie che trovano motivazione nella necessità di vivere in autonomia senza condizionamenti da parte della mia famiglia o di estranei”.
La signora da anni era iscritta all’anagrafe degli italiani che risiedono all’estero e aveva formalmente fatto confluire il proprio patrimonio in un trust istituito secondo la legge del Jersey, una delle Isole della Manica considerate un paradiso fiscale. Con questo stratagemma, suggeritole dai suoi fiscalisti, la facoltosa signora milanese era riuscita a far rientrare dalla Svizzera 15 milioni di euro, cifra record per una persona fisica. E tutto sarebbe andato liscio se il figlio non avesse deciso di presentare un esposto dal quale hanno preso il via le indagini delle Fiamme gialle, coordinate dal pm Paolo Storari.
La donna ha dichiarato che voleva che “il patrimonio fosse al riparo da eredi e da pretese fiscali ingiustificate italiane e svizzere” e “continuare ad avere cura della fortuna per evitare sprechi e malversazioni“. Tra i desiderata, anche che dopo la sua morte venissero “rispettati i suoi desideri per onorare la sua memoria e quella del marito“. E proprio per garantire la propria indipendenza, la signora aveva deciso di iscriversi all’anagrafe degli italiani residenti all’estero dal 1994, pur continuando a “vivere abitualmente” nello “storico appartamento di famiglia” in pieno centro a Milano, “ristrutturato secondo i propri desiderata che, come evidenziato dai dati delle utenze elettriche e del gas sopra riportate, la stessa risulta stabilmente occupare almeno dal gennaio 2011”.
La signora, inoltre, com’è emerso dall’inchiesta, frequentava abitualmente una nota palestra dove faceva “ginnastica dolce” e i “dati dello ‘spesometro‘”, strumento finanziario che banche e finanziarie hanno l’obbligo di utilizzare per mappare le spese dei propri clienti, hanno evidenziato che “il centro dei suoi affari ed interessi personali” era all’ombra della Madonnina. Dato confermato, anche “alla luce dell’elevata età anagrafica”, con “il costante ricorso a cure mediche e fisioterapiche” in una clinica privata di Milano.
Il “patrimonio finanziario” della 92enne, anche grazie all’aiuto di un commercialista che ha patteggiato una pena pecuniaria di 45mila euro, è stato “abilmente schermato dietro la continua predisposizione di trust residenti in Paesi esteri”. Il professionista, da quanto è emerso dalle indagini ricostruite nella sentenza, avrebbe consegnato alla sua cliente “un vero e proprio ‘vademecum‘ consigliandole le migliori strategie” per nascondere i soldi al Fisco. Tra gli accorgimenti, quello di recarsi in Svizzera per prelevare somme di denaro in contanti dai suoi conti oltreconfine. Somme che la donna utilizzava poi per fare fronte alle spese a Milano. All’anziana, che ha ammesso le sue responsabilità, però, sono state riconosciute sia le attenuanti generiche che quella per aver estinto i debiti tributari, dopo che ha deciso di collaborare e “ha provveduto ad eseguire il versamento della ingente somma” di oltre 14,5 milioni all’Agenzia delle Entrate “il 14 gennaio 2019”. Ha versato poi un altro milione per le imposte del 2017 e oltre 3,6 milioni al figlio che l’aveva denunciata.