“Chi fa musica ha il dovere di servirla su di un piatto d’argento e non in uno di plastica”. In questa affermazione c’è tutto l’amore che I Letti Sfatti – Jennà Romano (voce, strumenti a corde e sintetizzatori) e Mirko Del Gaudio (batteria e percussioni) – hanno per la musica. Jennà è un alchimista del suono e delle parole, passa infinite ore nel proprio studio a suonare e comporre. Ama isolarsi, disconnettersi dal mondo, per ritrovarsi da solo con i suoi strumenti a dar voce al proprio mondo interiore. E così ci regala sempre dischi intimi e originali, come Ogni giorno rischio di essere felice. Un album in due atti: il secondo viaggio è previsto per novembre di quest’anno. Un disco che è un omaggio al suono degli anni Settanta a partire dall’approccio, che rompe la struttura classica della forma canzone per diventare quasi un flusso di coscienza impazzito, nervoso e senza pause.
Come il primo singolo video, La serranda, dalla ritmica serrata, e altri brani in cui la psichedelia avvolge la poesia, come L’amore è uguale per tutti. Un’improvvisazione rock, un disco che va ascoltato tutto d’un fiato, che scarica su chi lo ascolta una valanga di emozioni. Otto brani di cui sette inediti e uno già edito (Lei balla il mambo) rivisitato con un quintetto di ottoni classico. L’unica traccia che mantiene la forma canzone è, non a caso, la meravigliosa Una strada, che il cantante ha dedicato al padre, Nick, scomparso circa un anno fa: “Una strada che non porta più da te / da te che eri più fragile dei miei perché”.
Partiamo dal titolo “Ogni giorno rischio di essere felice”: cos’è per te la felicità?
La felicità come status non credo esista. Esiste la ricerca di momenti felici, magari rifugiandosi in piccole cose. Il rischio che si corre nel prendersi di forza un momento felice è quello di creare infelicità a qualcun altro.
La lumaca forse vuole essere un inno alla lentezza in un periodo storico in cui tutto si vive in modo veloce e in superficie. Il rischio che si corre inseguendo la velocità è di abituarsi alla superficialità.
Un album che sarebbe potuto uscire negli anni 70, per il modo in cui è stato concepito.
Credo profondamente nella musica come ricerca del proprio personale suono con il proprio strumento e/o con la propria voce. Si suona ancora con gli stessi strumenti degli anni 70, dai Rolling Stones ai Muse, dai Beatles a Ed Sheeran. Tutte le rivoluzioni musicali sono state fatte con gli strumenti in mano, dal Rock al Prog fino ad arrivare al Punk. Suonare significa studiarsi il modo di farlo nella maniera più personale possibile, poi esiste la musica di tendenza che dura per poco tempo e diventa dopo poco datata.
Cosa genera e alimenta l’inquietudine che spesso si ritrova nelle vostre canzoni?
La musica è la valvola di sfogo delle mie emozioni. Cose che non riesco ad esprimere in altra forma mi vengono fuori nelle canzoni. L’inquietudine è un’emergenza espressa in questo caso con la musica.
Come mai avete pensato a un album in due puntate?
Perché mi piace l’idea di raccontare un anno ispirato in due blocchi, uno registrato a inizio anno e uno a fine anno. Poi mi sono imposto di registrarlo nell’arco stretto di poche settimane per conservare tutta l’essenza di un disco che sia uno sputo di emozioni senza svilirne l’essenza, perdendo tempo con strategie inutili. Mai come oggi perlomeno la musica deve conservare la sua verità.
Ha ancora senso stampare il disco?
Ha senso per chi ha ancora voglia di dare qualcosa di ricercato a chi ha ancora voglia di ascoltare la musica da un buon impianto e non solo dalle cuffiette del telefonino.
Avete sempre avuto un sguardo rivolto al passato; c’è qualcosa che vi piace della nuova musica napoletana e italiana?
La nuova musica napoletana è diventata molto di maniera. Napoli musicalmente parlando è un microcosmo in cui ci sono cose che funzionano solo a Napoli e provincia. Non si riesce più a superare il Garigliano e in molti si accontentano di puntare ad essere “il reuccio di Napoli”. Per quanto riguarda la musica italiana, quella d’autore conserva ancora il maggior fermento grazie anche a un circuito che molti chiamano di nicchia, ma la musica di qualità difficilmente – se non supportata – riesce ad arrivare a tutti.
Un album che hai curato in toto: dalla composizione alla produzione, dalla grafica al mix fino al mastering. Non credi che sia rischioso fare tutto da solo?
È l’esigenza di questo momento, magari tra un anno farò un disco totalmente corale con un orchestra di 40 elementi o forse solo voce e chitarra. La musica è libertà e quando sei in un momento in cui ti senti libero è giusto sentirsi forti di prendersi tutta la responsabilità di sbagliare da soli.
https://www.youtube.com/watch?v=QMPEeUHqCIk