Matteo Salvini portabandiera della Madonna pellegrina è un fenomeno che non ha senso irridere né sottovalutare. Perché, come tutta la comunicazione del vicepremier leghista e aspirante presidente del Consiglio, fa parte di un preciso disegno politico. Certo, mezzo secolo dopo le elezioni del 1948 con le madonne piangenti che invitavano a votare Democrazia Cristiana, la sua sparata in piazza del Duomo di Milano sembra fuori tempo. Invece è attualissima. Risentiamolo: “Affido la mia e la vostra vita al cuore immacolato di Maria, che sicuramente ci porterà alla vittoria”. La frase è un intreccio di significati. Il tono apocalittico che rimanda a una battaglia di vita e di morte. Il riferimento al “cuore immacolato” con un’enfasi di altri tempi, che per il suo stile è un segno di riconoscimento del conservatorismo religioso.
Non è un caso che Benjamin Harnwell, presidente del Dignitatis Humanae Institute (il centro che Steve Bannon sta plasmando nell’abbazia di Trisulti come polo anti-Francesco) firmi le sue mail “nel nome Santissimo del Cuore di Gesù e del Purissimo Cuore di Maria e del Castissimo Cuore di Giuseppe”.
Infine l’agitare del rosario nel giuramento al popolo di Salvini è un segnale di raccolta dei “veri cattolici”. Contro papa Francesco. Assolutamente studiato è stato in questo quadro l’attacco – mascherato da interlocuzione con “Sua Santità” – al pontefice argentino: un politico, sottolinea Salvini, “deve fare e non parlare” e mentre Francesco dice che bisogna “ridurre” il numero dei migranti morti nel Mediterraneo, la “politica del nostro governo li sta azzerando”. E qui il leader leghista ha rimarcato che tutto ciò viene fatto “con orgoglio e spirito cristiano”.
L’ondata di fischi contro Bergoglio, udibile ma controllata, faceva parte di questo schema. Ciò che Salvini sta facendo da qualche anno, e particolarmente da quando è vicepremier forgiandosi il profilo di “Capitano”, è dare forma a un blocco populista clerical-nazionale. E’ esattamente ciò che il populismo di Jaroslaw Kaczynski ha realizzato in Polonia, dove nel 2017 un milione di manifestanti con il rosario si è schierato ai confini nazionali per combattere “islamismo e ateismo”. E’ quello che avviene in Ungheria dove Viktor Orban insiste sui “valori cristiani” come fondamento della nazione ungherese, protetta dall’Islam con il filo spinato che Salvini è andato recentemente a ispezionare in gran pompa.
Il modello è questo e nella strategia nazional-clericale confluiscono molte correnti. Non c’è dubbio che nel clima di esibita noncuranza per l’antifascismo (una forma nemmeno larvata di disprezzo), una formazione di estrema destra come Forza Nuova si senta autorizzata e protetta a sfilare per via della Conciliazione inalberando lo striscione “Bergoglio come Badoglio”. Bergoglio traditore della fede e della patria, la parola d’ordine su cui convergono i reazionari interni alla Chiesa e i sovranisti xenofobi nella società.
E dove gli slogan non bastano intervengono i neofascisti di Casapound – attraverso “mamme” affiliate o simpatizzanti – a intimidire parroci che distribuiscono pacchi viveri ai rom, accusandoli di trascurare i “nostri poveri”. E’ successo ad aprile a Roma, diocesi del papa, nella parrocchia di San Gregorio Magno alla Magliana, dove il parroco ha ceduto. E non risulta che il ministro dell’Interno sia intervenuto con uno dei suoi roboanti tweet per denunciare la violenza inferta alla libertà di un ministro del culto – quale che sia – di esercitare la carità.
Di fronte a questa aperta manipolazione del linguaggio e della storia religiosa, attuata dal leghismo nazional-clericale (ne fa parte naturalmente, come si è visto a Milano, l’esaltazione di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI in funzione antibergogliana), il mondo cattolico italiano non sembra avere un sussulto e una contromobilitazione all’altezza della situazione. Tacciono i vescovi. Non si muove l’associazionismo cattolico democratico e limpidamente religioso. Lasciando (come già avviene nella guerra civile interna alla Chiesa sulle riforme di Francesco) che la scena sia occupata dagli avversari ideologici, politici ed economici del pontefice argentino. Le parole ferme del cardinale segretario di Stato Pietro Parolin o il duro editoriale di Famiglia Cristiana sul sovranismo feticista non possono essere considerati un sostitutivo per una battaglia che il mondo cattolico nel suo complesso non sta dando contro la deriva nazional-clericale.
Qui non si tratta di abbassare genericamente i toni. Nel panorama italiano ha fatto la sua comparsa un’area reazionaria organizzata religioso-politica. Un’area che ha una sua solida consistenza. Ci sono intere regioni nel Nordest dove i preti sono totalmente in minoranza, se tentano di illustrare dal pulpito la linea di Francesco sui migranti o il contrasto tra valori del Vangelo e un’economia di rapina. Mentre ai livelli alti sono chiari da tempo i collegamenti tra il cardinale Burke, critico numero uno di Francesco, il “Capitano” Salvini e l’ideologo della destra sovranista Steve Bannon. E’ un dato di fatto. Storicamente rilevante e preoccupante. Il che rende ancora più incomprensibile l’inesistente reazione del cattolicesimo democratico e sociale.