"Al momento la ragazza è indagata per eccesso colposo di legittima difesa, ma non è escluso che, nelle prossime due settimane, si possa chiedere al gip l’archiviazione perché la ragazza, allo stato degli atti a nostra conoscenza, ha agito per difendersi" dice il procuratore capo di Tivoli, Francesco Menditto
Torna libera Deborah Sciacquatori, 19 anni, che domenica 19 maggio a Monterotondo, vicino a Roma, ha sferrato un colpo fatale al padre, poi morto, che da tempo vessava la famiglia con violenze e aggressioni. La Procura di Tivoli ha firmato il decreto di remissione in libertà. Deborah era ai domiciliari: l’accusa nei suoi confronti è stata derubricata da omicidio volontario in eccesso colposo di legittima difesa. Lorenzo Sciacquatori, 41 anni, era stato denunciato per maltrattamenti per l’inferno fatto di botte, minacce, insulti e atteggiamenti violenti, complice l’alcol, in cui aveva fatto piombare la famiglia. “Al momento la ragazza è indagata per eccesso colposo di legittima difesa, ma non è escluso che, nelle prossime due settimane, si possa chiedere al gip l’archiviazione perché la ragazza, allo stato degli atti a nostra conoscenza, ha agito per difendersi” dice il procuratore capo di Tivoli, Francesco Menditto. Agli atti anche la ricostruzione fatta dalla ragazza: “Prima di uscire per difendere mamma e nonna ho afferrato un coltello della cucina. Non volevo ucciderlo, non volevo fargli del male. L’ho preso per difesa: volevo solo che ci facesse andare via e che si calmasse”. Per anni un clima di omertà ha sommerso le urla e le violenze al 2 di via Aldo Moro, a Monterotondo. “Tutti sapevano, tutti sentivano”, ha continuato il procuratore, guardandosi bene però dal denunciare.
La giovane, esperta di boxe, ha sferrato il colpo mortale durante una colluttazione col padre nel tentativo di difendere la madre. Prima dell’epilogo erano state ore di terrore per le donne. All’alba di domenica quando l’uomo, ubriaco, era tornato a casa ha cominciato ad inveire con la compagna, la figlia e l’anziana madre. In casa sarebbe arrivata anche la sorella dell’uomo, a sua volta insultata. Prima di colpirlo Deborah aveva scongiurato e implorato l’uomo di fermarsi. Un tentativo disperato quanto vano. Le parole della 19enne sono confermate dal procuratore di Tivoli e riferite da alcuni testimoni. “Papà fermati, non fare più niente”. La giovane, secondo quanto riferito dagli inquirenti, dopo aver colpito il padre gli avrebbe detto: “Non mi lasciare, ti voglio bene. Queste parole – spiega il procuratore di Tivoli Francesco Menditto – sono state confermate dai testimoni presenti al momento della colluttazione”.
Le quattro donne, intorno alle otto, avrebbero deciso di scappare per paura di subire più gravi conseguenze. Tanto che la figlia era uscita in pigiama. Appena varcato il portone erano state raggiunte dal 41enne che strattonando violentemente l’anziana madre, le invitava a rientrare a casa. Di fronte alla loro opposizione l’uomo aveva aggredito e picchiato la compagna e così la figlia, l’ha difesa, ne è nata una colluttazione in cui è rimasto ferito. Poi hanno chiamato i soccorsi, ma l’uomo è deceduto in ospedale. Sul posto è stato trovato un coltello che la ragazza aveva portato perché impaurita dal padre. Dagli accertamenti è emerso che la donna già nel 2014 aveva denunciato il compagno per maltrattamenti e che l’uomo, da testimonianze raccolte, in più occasioni sarebbe stato autore di violenze in ambito domestico. La ragazza era stata ascoltata dai magistrati non solo per ricostruire la vicenda ma anche per accertare il quadro di violenze in cui è maturato l’omicidio. Nel verbale di interrogatorio, come riporta Repubblica, la ragazza ha ripercorso la serata e anche il momento in cui dopo aver colpito il padre si è disperata: “Papà, papà perdonami. Non volevo, non mi lasciare, io ti voglio bene“. Nel racconto agli inquirenti la 19enne ha anche detto di avergli detto che voleva essere perdonata. Ai pm la 19enne avrebbe detto che l’unico ricordo bello del padre è la passione per lo sport che lui, anch’egli boxeur, le ha trasmesso.
Solo quando il sangue di Lorenzo Sciacquatori ormai sporcava il marciapiede, domenica mattina un vicino ha chiamato l’ambulanza. Dall’alba di domenica e per qualche ora la confusione non ha convinto gli inquilini del palazzo a chiamare i carabinieri. Nemmeno quando la ragazza, la mamma e la nonna si precipitano giù per le scale inseguite dal padre e rincorse dalla zia che prova ad aiutarle. “Questo è uguale da nord a sud e avviene tutti i giorni in tutta Italia”, ha precisato il procuratore Menditto. “Ho sentito le solite grida anche stanotte provenire dall’appartamento perché questo accadeva continuamente”. “E’ accaduto quello che avviene abitualmente ovvero che Lorenzo aveva dato in escandescenze” e ancora: “Non mi sono neanche allarmato perché Lorenzo (la vittima ndr) non era nuovo a simili comportamenti”. Sono le testimonianze degli altri inquilini del palazzo in via Aldo Moro, le parole di chi più volte non è riuscito a tapparsi le orecchie mentre la vittima minacciava di morte la compagna Antonia e che, nonostante questo, ha preferito “non impicciarsi”. “Era peggiorato, di continuo sentivo che minacciava la mamma Maria, la figlia e soprattutto la compagna” ha raccontato un uomo. “Ho sentito che discutevano animatamente, non volevo impicciarmi” ha ripetuto per ben tre volte al procuratore un’altra testimone che ha visto anche quello che è accaduto nei momenti successivi.
Lorenzo Sciacquatori tra il settembre del 2014 e il marzo del 2015 aveva accumulato una serie di segnalazioni per maltrattamenti in famiglia, aggressione a pubblico ufficiale e violenza a terze persone. In passato aveva subito un Tso, trattamento sanitario obbligatorio, per gli scompensi mentali. “Uscito dal carcere (nel 2016, ndr), ero convinta che si fosse pentito, che avesse deciso di guarire. Noi dovevamo curarlo, lo abbiamo ripreso in casa – ha raccontato Antonia la mamma di Deborah aglin inquirenti – Non ci siamo più rivolti ai carabinieri perché avevo paura che potessero intervenire i giudici minorili e togliermi mia figlia. Avevo il terrore che si potesse dire che non avevo protetto il padre di mia figlia”.